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Tra i bambini che sopravvivono tra le strade di Kinshasa. «Una delle sfide più difficili della vita»
Li chiamano «Shégués» ed è difficile immaginare un destino più difficile del loro, migliaia di bambini che vivono in stato di abbandono per le vie di Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo.
Per conoscere la storia di questa fetta dimenticata dell’umanità siamo stati per alcuni giorni in uno dei due centri di accoglienza Oseper – Opera di sostegno, educazione e protezione dei bambini di strada – situato a Lemba, un comune della periferia di Kinshasa. L’istituzione, fondata nel 1990, oggi è gestita da una piccola comunità di religiosi cattolici donguanelliani, ed è una delle poche che opera nella capitale congolese per contrastare il fenomeno in aumento dei bambini di strada.
«Abbiamo una settantina di bambini in questo centro, dove diamo anche ospitalità» ci racconta Padre Gabriel Kwanda Mboma, direttore della struttura. «Mentre nell’altro centro di accoglienza, dove i bambini vengono solo per i pasti e per gestire alcune necessità primarie, diamo da mangiare ogni giorno a oltre 150 bambini, che vengono a mangiare, a vestirsi, a lavarsi, e in alcuni casi a passare la notte».
Secondo le ricerche dell’Ong francese SOS Enfants, a Kinshasa oggi sono circa 20mila i bambini e i ragazzi di strada, su una popolazione di 11 milioni di persone. Altre stime parlano di un numero maggiore, tra i 30 e i 50 mila, anche se un conteggio reale è impossibile proprio per le condizioni di anonimato e invisibilità in cui vivono questi bambini e ragazzi, in una delle città più difficili del mondo.
«Vengono da situazioni di violenza o comunque da situazioni familiari difficili», ci racconta Alessia Laregina, una volontaria italiana che incontriamo nel centro Oseper, dove lavora come figura di sostegno ai bambini, in un progetto di un anno del Servizio civile internazionale. «Ci sono un sacco di sfide cui devo andare incontro», ci racconta, «ma allo stesso tempo sono qui per realizzare l’obiettivo di inclusione e sostegno dei ragazzi e bambini che seguo».
Proprio dai centri come quelli di Oseper, o dell’omologa Ndako Ya Biso, vengono raccolte le informazioni che abbiamo a disposizione sulle condizioni di vita e la provenienza di questi bambini, che sulla strada vivono di miseria ed espedienti, esposti a episodi quotidiani di violenza, abusi, droghe, malattie, assenza di cure.
«Ho visto gente morire di malattie, perché sono andati a chiedere medicine in delle farmacie, ma gli sono state rifiutate», ci racconta Lumière Kololo Mvula, oggi 19enne, che ha trascorso cinque anni sulla strada prima di incontrare il centro di Oseper, dove oggi ha un suo laboratorio di falegnameria che gli permette di guadagnarsi da vivere. «In strada ci sono due tipi di persone, i prepotenti e i deboli. Io ero tra i deboli» ci racconta, mettendo in fila anni di episodi di abusi, violenze, compagni di strada morti per il freddo o le malattie.
La storia di Lumière parte da una scelta volontaria di lasciare la propria casa, per una situazione familiare di violenza. Ma la casistica raccolta dai centri di accoglienza parla quasi sempre di ragazzi abbandonati da famiglie in una situazione di grave indigenza, da madri sole che non riescono a mantenere se stesse né i figli, e in molti casi per la responsabilità di comunità religiose, che attribuiscono a un bambino un’etichetta di «stregone», spingendo le famiglie ad abbandonarlo per migliorare la propria sorte.
«In alcuni casi arrivano che sono molto piccoli» ci racconta Mattia Tarantini, altro volontario italiano presente da alcuni mesi nel centro, mentre nel cortile del centro guardiamo un bambino di circa 5 anni che non riesce a camminare. I volontari del centro lo hanno raccolto in strada mesi prima, con i piedi consumati dai vermi. Secondo Tarantini, recuperare questi ragazzi e riportarli in famiglia o nella società è un’impresa che a volte funziona e a volte meno, anche a causa del contesto generale della città: «Mancano le opportunità, però non c’è visione di futuro, non c’è la visione dell’obiettivo o magari del sogno. Magari qui trovare un lavoro fisso che ti permette di comprare riso e fagioli per te, tua moglie e i tuoi figli… alla fine questo si cerca, di costruire una famiglia e avere l’opportunità di lavorare». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA