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Solo il 23% degli aventi diritto ha accesso alle cure palliative. Storie di coraggio e vita, nonostante tutto

Di Redazione |

Coghe (Pro Vita & Famiglia): «Chiediamo che lo Stato ascolti le voci di chi vuole continuare a vivere, fornendo ai malati e alle famiglie il supporto e l’assistenza medica e psicologica che necessitano»

Roma, 01 agosto 2022 – La legge n. 38 del 2010 stabilisce che le cure palliative rappresentano un diritto inviolabile di ogni cittadino. In Italia, però, solo 1 persona su 4 riesce a ottenere quest’assistenza, con alcune regioni come Calabria o Campania, in cui la copertura è di appena 18%. Un dato che troppo basso, soprattutto se paragonato a quello di Germania e Regno Unito che raggiungono rispettivamente il 64% e il 78%.

Pro Vita & Famiglia Onlus, che promuove i valori della vita, dal concepimento fino alla morte naturale, in un momento in cui l’attenzione pubblica è concentrata sull’approvazione del DDL Bazoli sul fine vita, chiede che lo Stato non dimentichi chi non vuole il suicidio assistito, ma continuare a vivere, con dignità.

«Chiediamo che lo Stato investa non certo nei farmaci per porre fine alla vita di chi soffre, ma in quelli che ne allevino le sofferenze. Chiediamo che siano aiutati a vivere, non a morire», spiega Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus. Tante sono le testimonianze raccolte dall’Associazione. Storie che vedono oltre il 70% di queste persone in attesa di cure palliative che non riescono ad avere.

Come Andrea Turnu, in arte Dj Fanny. Il 29enne, dal gennaio del 2016, è affetto da SLA e non è più autosufficiente. Rispetto a Dj Fabo, Andrea ha fatto una scelta differente. Non una contrapposizione tra una storia e un’altra – ci tiene a sottolineare – ma una scelta diametralmente opposta. «Credo in maniera molto forte nella scienza e nella ricerca. Una delle mie missioni è proprio quella di sensibilizzare in questo senso le persone». Con il suo progetto “My Window on the Music”, Dj Fanny è nella top 20 dei brani più scaricati da iTunes e ogni download porta fondi alla ricerca sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica di Aisla.

Amina, invece, ha 39 anni ed è costretta a letto a causa di una diagnosi e di una curasbagliata, che le hanno provocato una condizione patologica gravissima e rara quando aveva 2 anni. Da allora necessita di assistenza continua, fornita da sua madre, RitaBasso. Dal 2008 la donna chiede l’assistenza domiciliare perché, in una struttura pubblica, Amina non può ricevere cure adeguate. Una storia di inefficienza, ingiustiziaeindifferenza da parte dello Stato, ma anche di sacrifici. «Non mi arrendo – afferma Rita – anzi, sul mio profilo facebook ho invitato i nostri sostenitori ad un “tam tam” mediatico, tramite foto con l’hashtag #iostoconamina con cui si insiste nel richiedere l’assistenza domiciliare per mia figlia. Una battaglia che non ho nessuna intenzione di mollare». I sacrifici di sua madre sono la miglior risposta a tutti gli haters che sui social scrivono «Falla morire».

Quella di Sara Virgilio è una storia che fa riflettere. Nel 1994 viene investita e l’impatto la manda in coma. I medici s’impegnano al massimo ma affermano di non nutrire speranze. Sara sente tutto. Il suo corpo è inerte ma la mente vigile. Vorrebbe gridare che lei è lì, che è viva! Solo sua madre capisce che è presente. Sara lotta, affronta tutti gli interventi e supera ogni problematica. Ora è una donna in perfetta salute, che può determinare il suo destino. Laureata in biologia, dice no alla deriva eutanasica. Proprio la sua esperienza la porta a opporsi, con decisione, al testamento biologico e alla culturadello scarto. «Capisco la posizione di prudenza dei medici, tuttavia la vita va rispettata e per me era vita anche quella: io c’ero e volevo esserci. Se avessi firmato il testamento biologico per me sarebbe stata la fine, non avrei avuto modo di comunicare un eventuale ripensamento», afferma Sara.

Marie Perrin è francese ma, innamorata dell’Italia, sceglie di trasferirsi e aprire un’agenzia di viaggi a Roma. A infrangere il sogno, la malattia che l’accompagna da quando ha 16 anni: la nevralgia del pudendo. Una patologia che, alla fine, la costringe sulla sedia a rotelle e che si aggrava con lo stress. Nessuno l’aiuta, tutto per lei è difficile, non ha diritto a nessun tipo di supporto. Tenta di curarsi in Italia ma i medici, nonostante le sue richieste e rimostranze, le prescrivono esami che nulla centrano con la situazione. Per convivere con il dolore e continuare a lavorare, Marie è costretta a usare la morfina. Per farsi ascoltare, deve lamentarsi, arrivando a piangere. Spesso, riceve trattamentidisumani da parte delle strutture pubbliche a cui si affida. Una sera, rincasando sola con il taxi, arriva persino a pensare al suicidio. Poi la decisione di tornare in Francia dove, finalmente, sta ricevendo la giusta assistenza. In Italia, la 36enne è stata ingabbiata da una burocrazia piena di falle ma, a parte un unico pensiero di rassegnazione, non ha mai perso la speranza. Marie vuole continuare a vivere!

Rita Coruzzi nasce prematura e questo le causa problemi a livello motorio. Tanta fisioterapia e buona volontà sembrano però dare buoni frutti. Rita vuole camminare, essere indipendente. All’età di 10 anni deve sottoporsi a un’operazione che risulta sbagliata. Il verdetto è impietoso: non potrà mai più camminare. Lei avrebbe accettato tutto ma non quello. Perde ogni speranza, ogni motivazione. Per anni si chiude in se stessa. La svolta arriva grazie a un viaggio a Lourdes, dove riesce a dialogare, nel cuore, con Maria e a guardarsi con occhi nuovi. Va oltre la sua disabilità, comprendendo diessere tanto altro e di poter dare un suo personale contributo agli altri, nell’accettazione della sofferenza. Rita è ora una giornalista, scrive romanzi storici ed editoriali a difesadella vita. Se prima era ossessionata dalla guarigione, ora, non lo è più. A volte si dimentica persino di essere sulla carrozzina. A 36 anni, è una donna pienamenteappagata, che vuole succhiare il midollo della vita, vivendo con passione e assaporando ogni sfumatura.

«Nessuno va lasciato solo di fronte alla malattia – conclude Coghe – ma l’applicazione della legge 38/2010 che garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore è rimasta colpevolmente indietro. Per questo il Parlamento ha il dovere, non più rimandabile, di incentivarne l’accesso, così come l’uso degli Hospice. È assurdo che, invece, c’è chi proponga l’esatto contrario. Stato e medicina devono stare accanto a chi soffre, ai malati, ai più deboli e fare di tutto per alleviare le sofferenze, non per eliminare il sofferente».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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