Scompenso cardiaco: svolta epocale nel trattamento, ma occorre migliorare la presa in carico e l’accessibilità alle cure del paziente

Di Redazione / 19 Ottobre 2022

19 ottobre 2022 – Lo scompenso cardiaco, patologia cronica con esito fatale nel 50% dei pazienti entro cinque anni dalla diagnosi, colpisce circa 15 milioni di persone in Europa. Di queste, oltre il 10% ha un’età superiore ai 70 anni.

In Italia è la causa principale di ospedalizzazione nelle persone di età superiore ai 65 anni con un impatto non solo clinico, ma anche sociale ed economico molto rilevante. Lo scompenso cardiaco è spesso associato ad altre malattie del sistema cardio-nefro-metabolico, come il diabete di tipo 2 e le malattie renali. A causa della natura interconnessa di questi sistemi, il miglioramento di uno può portare effetti positivi in tutti gli altri. Per questi motivi si sono studiati gli effetti della classe degli inibitori selettivi del co-trasportatore renale di sodio e glucosio (SGLT2i), già indicati sia come monoterapia, sia in terapia di combinazione in pazienti con diabete di tipo 2 e che hanno dimostrato attraverso numerosi studi RCT di garantire benefici aggiuntivi come la riduzione della pressione arteriosa e dei ricoveri per scompenso (-35%), il rallentamento del declino della funzionalità renale (-39%), la mortalità per tutte le cause (-32%).

Così Claudio Bilato, Presidente ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri – Regione Veneto: “Ci tengo a puntualizzare un aspetto che, secondo me, secondo AMCO, è davvero importante. Parlo di hardware, cioè di dove facciamo assistenza a questi pazienti. Parlo di un luogo fisico, o comunque funzionale e strategico che ancora oggi non è riconosciuto. Occorre una rete integrata sia tra ospedale e territorio, sia tra ospedali con complessità di cura differenti. Ricordiamoci che i pazienti con scompenso cardiaco necessitano di essere rivalutati frequentemente, di avere continui aggiustamenti terapeutici e uno stretto monitoraggio. Devono essere gestiti in maniera multidisciplinare e qui ci sono due grosse criticità: il problema di un’adeguata comunicazione tra i professionisti che sono coinvolti – che spesso non c’è – e che ci sia una reale integrazione tra le varie discipline. Il messaggio che voglio dare, concludendo, è focalizzato su 4 aspetti: avere delle reti tra differenti ospedali e tra territorio e ospedali, promuovere la formazione anche degli specialisti, promuovere l’informazione e una rigorosa ed efficiente modalità assistenziale con la telemedicina. Sarebbe utile quindi anche un confronto tra queste prime esperienze, per cercare di affinare sempre più un modello in grado di realizzare una vera presa in carico di questi pazienti”.

Sottolinea il ruolo del territorio Luciano Babuin, Dipartimento Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari AOU Padova, con queste parole: “C’è tutto un percorso ad ostacoli sul territorio, non ultimo i piani terapeutici, dove la prescrivibilità spesso è riservata solo ad alcune specialità. Il problema non è più l’evidenza scientifica, ma la presa in carico e l’accessibilità alle cure del paziente con proprietà transitiva: perché il paziente possa avere quel farmaco, ci deve essere uno specialista che ha la possibilità di prescriverglielo”.

E poi c’è il problema costi, sul quale si è espresso Luciano Flor, Direttore Area Sanità e Sociale, Regione del Veneto: “Prima di pensare in termini di ricadute economiche, credo che medici e professionisti sanitari debbano pensare in termini di salute, altrimenti non andiamo da nessuna parte. Si deve sfatare la paura che l’innovazione stravolga i bilanci regionali e per farlo è necessario per tutti i professionisti sanitari di stare dentro questi problemi, che vuol dire condividere e fare rete per dare fiducia ai nostri cittadini”.

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