Il maresciallo dei Carabinieri Antonino Lombardo, trovato senza vita nella sua auto nella caserma dei Carabinieri di Palermo, il 4 marzo 1995, "non si è ucciso" ma "è stato ammazzato". "Adesso abbiamo le prove, inconfutabili. A partire dal proiettile che lo ha ucciso e che non proveniva dalla sua arma ma da un'arma diversa e alla lettera trovata vicino a lui, che non è stata scritta dal maresciallo, come è stato accertato dalle perizie". Ecco perché questa mattina i figli del sottufficiale del Ros, Fabio, Rossella e Giuseppe Lombardo, accompagnati dal loro legale, Alessandra Maria Delrio, e dai periti, hanno presentato un esposto "per omicidio" alla Procura di Palermo e alla caserma dei Carabinieri di Terrasini (Palermo), la stessa in cui lavorava il maresciallo. Fabio Lombardo, il figlio del sottufficiale, che non si è mai fermato alla ricerca della verità, ha deciso di raccontare "la svolta sull'omicidio di mio padre" nella Sala consiliare del Comune di Terrasini (Palermo), alla presenza del sindaco Giosuè Maniaci, insieme con la legale e i due periti, il professor Gianfranco Guccia, esperto di perizie balistiche, e la criminalista Claudia Sartori, che ha scritto una relazione di 400 pagine. La legale, i periti e il figlio Fabio Lombardo, hanno così parlato di tutte le "stranezze" e le "manchevolezze" avvenute negli ultimi 27 anni, dalla sera del 4 marzo 1995 quando fu ritrovato il corpo senza vita del maresciallo Lombardo, all'interno della sua auto nella caserma Bonsignore, oggi intitolata al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa di Palermo. "Ci sono troppi eventi avvenuti quel maledetto 4 marzo che mi portano a pensare che mio padre è stato ucciso", dice Rossella Lombardo, la figlia del sottufficiale.
"Non si tratta di suicidio, abbiamo trovato dei gravi indizi che ci portano a pensare che il maresciallo Lombardo sia stato ucciso", esordisce la criminalista Sartori nella sua analisi. "Partiamo dalle analisi investigative fatte nel marzo del 1995 e ci rendiamo conto che le persone che hanno fatto le relazioni di servizio contengono informazioni discordanti tra di loro". Faccio qualche esempio: "Abbiamo dei tabulati telefonici che non sono pertinenti con quello detto dai carabinieri – dice – tre ufficiali dell'Arma dicono di avere chiamato il maresciallo Lombardo il 4 marzo 1995, ma agli atti non abbiamo queste tre telefonate, ne abbiamo solo una. Il 4 marzo 1995 il maresciallo alle 6.33 riceve una sola telefonata di 33 secondi, delle altre due non c'è traccia. E questo chiaramente è un indizio che mi porta a pensare che probabilmente non è stato accertato quanto doveva essere accertato all'epoca".
"Sempre per quanto riguarda sit e relazioni di servizio – dice ancora la analista – abbiamo dichiarazioni sempre discordanti con buchi di orari in cui non si sa se il maresciallo è all'interno della caserma. Nessuno lo vede transitare o entrare, lo vedono solo due carabinieri facenti parte del comando mentre ci siamo accorti che esistevano delle telecamere di videosorveglianza e che potevano essere utilissime ma non ne troviamo traccia agli atti. Quindi nessuno le ha visionate. Sarebbe stato utile quantomeno guardarle". E aggiunge: "L'unica persona che vede il maresciallo è un carabiniere che dirà un particolare importante, cioè che Lombardo indossava un montone marrone, un montone che agli atti non c'è e che è stato riportato alla famiglia dieci giorni dopo".
Il figlio del maresciallo Fabio, parla di "un depistaggio iniziato prima del 4 marzo, proseguito anche dopo il 4 marzo del 1995. In 27 anni mi sono sempre trovato davanti un muro di gomma. Mi sembra che sia il vaso di Pandora, non è un semplice caso di omicidio", dice. Poi, la criminalista Sartori dice ancora: "Abbiamo delle incongruenze sugli orari, ci sono buchi temporali e una ambulanza che entra ed esce in tempi ristretti". Mentre il perito balistico, Gianfranco Guccia, che fino ad oggi ha fatto oltre 1.000 perizie, sostiene: "è stata usata un'arma dello stesso modello e marca di quella del maresciallo Lombardo, ma non è quell'arma con cui è stato ucciso, perché oggi possiamo parlare di omicidio e non di suicidio". "Per quello che riguarda il risultato della mia analisi, sotto il profilo tecnico – dice Guccia all'Adnkronos – tra il proiettile e il bossolo repertati sulla scena del crimine e i proiettili e i bossoli recuperati durante la fase di prova a fuoco dell'arma, che sono stati messi a confronto con i mezzi scientifici di allora, che comunque sono anche quelle di adesso, seppure più raffinati, devono corrispondere le caratteristiche di classe d'arma. Quando, invece, all'interno di queste macrotracce troviamo delle tracce ancora più piccole ma caratterizzanti, che coincidono per morfologia e dimensione e sono riscontrabili sia sui proiettili di prova che su quelli repertati, a quel punto posso sì che posso dimettere un giudizio di equiprovenienza di arma di scienza e coscienza".
L'avvocata Alessandra Maria Delrio, del foro di Sassari, spiega: "La perizia dice che la calligrafia di quella lettera non è compatibile con quella del maresciallo Lombardo, ma non ci è bastato per depositare un esposto per omicidio". Ma cosa c'era scritto in quella lettera 'di addio'? "Mi uccido per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e i miei figli che sono tutta la mia vita… Non ho nulla da rimproverarmi poiché sono stato fedele all'Arma per trentuno anni e, malgrado io sia arrivato a questo punto, rifarei tutto quello che ho fatto. La chiave della mia delegittimazione sta nei viaggi americani…". Una lettera su cui non c'era neppure uno schizzo di sangue, nonostante fosse stata ritrovata accanto al corpo del maresciallo.
"Il maresciallo Lombardo ha dato un contributo fondamentale all'arresto di Totò Riina, che cambia la storia siciliana. Da lì avrebbe dovuto poi andare negli Usa per portare in Italia il boss Tano Badalamenti, che sarebbe venuto solo con il maresciallo Lombardo, ma non come collaboratore ma come persona informata sui fatti. La sua morte non porterà mai questo confronto lineare. Solo questo sarebbe bastato per aprire un fascicolo per omicidio, invece abbiamo un fascicolo per induzione a suicidio".
Già un anno fa la legale aveva depositato una richiesta di "riapertura indagine, in realtà era quasi una provocazione", spiega. "Volevo che la Procura si rendesse conto che il maresciallo Lombardo non si era suicidato. Non basta una perizia calligrafica. Non ci risulta che questa perizia che ci da dei riscontri scientifici sia stata confutata con altre perizie. A questo punto, la collaborazione dei due periti ci offre degli indizi che potrei definire, gravi, precisi e concordanti. Se il proiettile non proviene dall'arma di Lombardo, vuol dire solo una cosa: non si è suicidato".
"Anche se sono passati 27 anni – dice – è necessario che venga aperta per la prima volta una indagine per omicidio". E il figlio del maresciallo Lombardo, Fabio, poi aggiunge: "In 27 anni ho visto solo archiviazioni insignificanti che hanno portato lontano da quello che risulta oggi. Inizialmente nel 1997 venne aperto un procedimento per induzione al suicidio, un procedimento archiviato, con la firma di sette magistrati, da Caselli a Natoli, loro scrissero nella richiesta di archiviazione che avevano la certezza del suicidio, dalle testimonianze di quella sera. Oggi il professore Guccia e la dottoressa Sartori hanno spiegato in modo scientifico che di suicidio non c'è nulla. Io, come figlio, mi aspetto delle risposte sia da parte dell'Arma dei Carabinieri che dalla Procura, sicuramente non mi aspetto una archiviazione, sarebbe assurda. Sembra che sin dal 4 marzo 1995 ci sia stato l'ordine tassativo di rimuovere dalla memoria umana, la figura del maresciallo. Una cosa davvero incomprensibile. Noi invece di tutelare i nostri 'eroi' in Italia li dimentichiamo".
E poi Fabio Lombardo aggiunge: "Sono letteralmente disgustato, dopo avere ascoltato le perizie. Io come figlio non ho mai creduto al suicidio sia perché conoscevo bene mio padre sia perché dalle indagini fatte dai Carabinieri non vedo nessuna traccia che porti al suicidio". "Mio padre pensava di essere ucciso dalla mafia, perché le minacce di alcuni esponenti di spicco sono arrivate, specie dopo l'arresto di Riina, ma negli ultimi 15 giorni mio padre ha pensato di essere ucciso dai suoi stessi colleghi", dice. "Poi bisogna vedere se è accaduto dentro la caserma…".
"La cosa strana, una delle tante, è che i carabinieri che avrebbero dovuto vedere per forza mio padre in caserma dicono di non averlo visto né entrare né uscire dalla caserma- aggiunge – mi chiedo come si fa a parlare di un suicidio di una persona all'interno della caserma, quando non ha mai messo piede quella sera? Non mi fermerò, fino a quando non vedrò il nome di mio padre accanto a quelli dei giudici Falcone e Borsellino. Mi auguro che l'aria in procura sia cambiata. Finora ho visto solo il famoso muro di gomma, mi auguro che ci sia un magistrato coraggioso da andare avanti nelle indagini e scoprire cose è realmente accaduto quella sera".
E conclude: "Un omicidio in una caserma non può essere mascherato per 27 anni come suicidio e non può essere silenziato da nessuno. Mi auguro di poetare questa notizia attesa da 27 anni a mia madre".