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Ematologo Cairoli, ‘con mix cure verso remissione leucemia mieloide acuta’
Roma, 6 ott. (Adnkronos Salute) – Aumentata suscettibilità alle infezioni, febbre alta che non scompare neanche con gli antibiotici, stanchezza, fatica a respirare, pallore, sindrome emorragica. Sono questi i sintomi più comuni della leucemia mieloide acuta, malattia neoplastica del midollo osseo che colpisce circa 3-4 persone ogni 100mila abitanti. “Sono circa 2.000 l’anno le persone in Italia affette dalla malattia che, se non curata, porta alla morte. In particolare gli anziani, non a caso l’età media dell’insorgenza è di 68 anni. Ma questi pazienti sono i più difficili da curare per due motivi: la leucemia mieloide acuta dell’anziano, rispetto a quella del giovane, è intrinsecamente più aggressiva, e dal punto di vista delle terapie chi è avanti con gli anni le tollera meno”. Così all’Adnkronos Salute Roberto Cairoli, direttore Struttura di Ematologia dell’Ospedale Niguarda di Milano, in occasione del mese dedicato alla sensibilizzazione sui tumori del sangue. Dal punto di vista delle cure “siamo in un momento di grande fermento – sottolinea l’ematologo – perché fino a poco tempo fa avevamo a disposizione solo alcuni farmaci chemioterapici classici, che comunque hanno dato grandissime soddisfazioni”. La terapia per la leucemia mieloide acuta “si divide in diverse fasi – spiega Cairoli – La prima fase è la cosiddetta terapia di induzione, il cui obiettivo è la scomparsa apparente della malattia. Se dopo questa fase non si dà una terapia di consolidamento. la malattia torna fuori nel giro di poco tempo. Nella terapia di induzione sono stati impiegati dal 1973 ad oggi due farmaci chemioterapici (antracicline e Ara-C), che insieme inducono una remissione completa nel 60% dei casi circa, con una possibilità di sopravvivenza a 5 anni del 50% nei pazienti più giovani”. A questi farmaci “se ne sono associati molti altri, soprattutto negli ultimi anni – prosegue lo specialista – Alcuni sono farmaci ‘a bersaglio molecolare’, cioè colpiscono una caratteristica biologica individuata nella cellula maligna, inducendone la morte. C’è una combinazione di farmaci che è particolarmente importante nella cura del paziente anziano. Questa terapia si basa sugli inibitori di BCL2, una sostanza che all’interno della cellula leucemica è iperespressa, in associazione alla chemioterapia ipometilante (il Dna della cellula leucemica è patologicamente ipermetilato). La combinazione di questi farmaci induce una remissione della malattia nel 60% dei pazienti anziani, risultati che non si sono mai visti prima. Per cui il mix modernamente adottato nel paziente anziano è l’associazione di un farmaco ipometilante con un inibitore di BCL2 che si chiama venetoclax”. Il ‘difetto’ di questa terapia “è che non è a durata fissa. E’ infatti una terapia continuativa, questo significa che il paziente 7 giorni al mese deve recarsi in ambulatorio per sottoporsi al trattamento. Poi ci sono diverse altre sostanze che in varie combinazioni hanno migliorato la sopravvivenza dei pazienti affetti da leucemia mieloide acuta, sia giovani che anziani”. Quando la malattia è in fase attiva “il paziente in genere è emorragico, febbrile e anemico – continua Cairoli – Quindi deve fare trasfusioni di sangue e di piastrine, sta malissimo. L’obiettivo della terapia è invece quello di migliorare la qualità di vita di chi è affetto dalla leucemia mieloide acuta, ma per farlo bisogna per prima cosa rendere il paziente indipendente dal supporto trasfusionale. Se ha la febbre o un’infezione intercorrente, nostro compito è migliorare il numero e la performance dei globuli bianchi, in modo tale che questi episodi intercorrenti e la febbre possano scomparire. Senza più febbre e senza più dover ricorrere alle trasfusioni di globuli rossi e di piastrine, anche se il paziente per curarsi deve andare periodicamente in ambulatorio, la sua qualità di vita migliora enormemente”. Va detto, però, che “questo risultato non lo otteniamo nel 100% dei pazienti – precisa l’ematologo – ma in oltre la metà dei casi”. La terapia che associa un farmaco ipometilante con il venetoclax “produce risultati che non abbiamo mai visto in termini di remissione, però si tratta di una terapia continuativa – ribadisce Cairoli – Il venetoclax si assume per bocca mentre la terapia ipometilante si fa per via sottocutanea 7 giorni ogni 28 presso un ambulatorio di ematologia. In futuro sarà possibile assumere la terapia direttamente a casa: la ricerca sta lavorando molto per raggiungere questo obiettivo”.