TRAPANI Beni per un valore di 250mila euro sono stati confiscati dalla Dia di Trapani, coordinata dalla Procura di Marsala, a Gaspare Como, commerciante di Castelvetrano e cognato di Matteo Messina Denaro (per averne sposato la sorella Bice Maria), già sorvegliato speciale di pubblica sicurezza, attualmente detenuto per associazione a delinquere di tipo mafioso.
La confisca è stata disposta dal Tribunale di Marsala al termine del procedimento penale che ha portato alla condanna di Como a 3 anni e 6 mesi di reclusione, per trasferimento fraudolento di valori, e, per concorso nello stesso reato, alla pena di un anno e sei mesi a carico di Gianvito Paladino e di Bice Maria Messina Denaro. La sentenza, integralmente confermata dalla Corte d’Appello di Palermo, è divenuta definitiva a seguito della dichiarazione di inammissibilità, da parte della Cassazione, in ordine al ricorso presentato dai condannati.
Per questi fatti, nel 2018, Como è stato nuovamente sottoposto a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, su proposta del direttore della DIA, e arrestato, assieme a Rosario Allegra (altro cognato di Matteo Messina Denaro, poi deceduto) e numerosi altri presunti affiliati a cosa nostra, perché ritenuto il “reggente” della famiglia mafiosa di Castelvetrano.
I beni sottoposti a confisca definitiva, già sequestrati dalla Dia nel 2013, sono un’attività commerciale di vendita d’abbigliamento, un locale di circa 200 mq a Castelvetrano – intestato a Valentina Como (sorella di Gaspare) – e una costosa auto di grossa cilindrata. Le attività investigative, sottolinea la Dia, hanno disvelato come Como «mentre stava scontando la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, dopo aver espiato una lunga detenzione in carcere, avesse avviato una fiorente attività commerciale, assai nota a Castelvetrano, e continuato a fare investimenti in beni mobili e immobili, nonché in aziende, intestando tutto a terze persone, nel tentativo di sottrarsi all’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali. La riconducibilità di tali beni alla sua persona è stata dimostrata attraverso l’esame delle movimentazioni bancarie degli indagati (sui cui conti operava esclusivamente il Como, apponendo anche firme false) e delle intercettazioni telefoniche sulle utenze delle aziende, risultate da lui gestite in modo occulto».