Trapani
Trapani, avrebbero coperto e finanziato latitanza Messina Denaro: 12 arresti tra cui “re” dell’eolico
TRAPANI – Dalle prime luci dell’alba è in corso una vasta operazione che vede impegnati oltre 100 uomini, tra Carabinieri del Nucleo Investigativo di Trapani e del Raggruppamento Operativo Speciale e personale della DIA, per l’esecuzione di 12 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse su richiesta della DDA nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, favoreggiamento e intestazione fittizia di beni. Tra questi Vito Nicastri, soprannominato il «re dell’eolico», il «signore del vento», perché è stato tra i primi in Sicilia a puntare sulle energie pulite. L’ imprenditore trapanese è finito in carcere insieme ad altre 11 persone sospettate di aver coperto e finanziato la latitanza del boss ricercato Matteo Messina Denaro. Quello di Nicastri non è un nome nuovo per i carabinieri e il personale della Dia che hanno condotto l’ultima inchiesta sui presunti favoreggiatori del padrino di Castelvetrano: i suoi legami col boss gli sono costati sequestri per centinaia di milioni di euro. Di lui, tra gli altri, ha parlato il pentito Lorenzo Cimarosa, nel frattempo morto, indicandolo come uno dei finanziatori della ormai più che ventennale latitanza di Messina Denaro. Il collaboratore di giustizia ha raccontato di una borsa piena di soldi che Nicastri avrebbe fatto avere al capomafia attraverso un altro uomo d’onore, Michele Gucciardi.
ECCO CHI SONO GLI ARRESTATI
Gli arrestati dell’operazione “Pionica” sono: Salvatore Crimi, Melchiorre Leone, Giuseppe Bellitti, Gaspare Gucciardi, Vito Gucciardi, Girolamo Scatarrato, Roberto e Vito Nicastri, Ciro e Leonardo Ficarotta e Paolo Vivirito. La misura è stata notificata in carcere a Michele Gucciardi.
Le indagini hanno preso il via nell’aprile del 2014 sotto il coordinamento della DDA di Palermo. Gli indagati sono ritenuti esponenti delle famiglie mafiose di Vita e Salemi (Trapani). Individuati quelli che vengono ritenuti dagli inquirenti i capi delle famiglie di Cosa Nostra di Vita e Salemi e relativi gregari. Gli arrestati, servendosi anche di professionisti nell’ambito di consulenze agricole e immobiliari, sarebbero riusciti, attraverso società di fatto riconducibili a Cosa Nostra ma intestate a terzi, a realizzare notevoli investimenti in colture innovative per la produzione di legname e in attività di ristorazione.
Gli inquirenti avrebbero accertato che parte del denaro derivante dagli investimenti sarebbe stata destinata dai vertici di cosa nostra trapanese al mantenimento del latitante Matteo Messina Denaro. Sequestrate tre aziende.
Nasce dalla vendita all’asta di terreni della famiglia degli esattori mafiosi Salvo l’inchiesta della Dda di Palermo che ha portato oggi all’arresto di 12 tra capimafia e favoreggiatori del boss Matteo Messina Denaro appartenenti alle «famiglie» di Vita e Salemi, nel Trapanese. Secondo gli inquirenti Cosa nostra, attraverso imprenditori complici, avrebbe messo le mani su ettari di vigneti del nipote di Ignazio Salvo, Antonio, sorvegliato speciale dopo una assoluzione da una accusa di mafia, e della moglie Giuseppa, parente del trafficante di droga mafioso Salvatore Miceli. L’’inchiesta, condotta dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani e dalla Dia, proverebbe le infiltrazioni di Cosa nostra negli investimenti immobiliari sui terreni agricoli offerti all’asta. Le terre vennero comprate all’asta dai fratelli Vito e Roberto Nicastri. Vito Incastri, imprenditore nel settore delle energie rinnovabili, è ritenuto vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro a cui avrebbe finanziato la latitanza. I Nincastri avrebbero pagato l’appezzamento 138 mila euro, rivendendolo a 750 mila euro poi alla società Vieffe dell’imprenditore Ciro Ficarotta, mafioso di San Giuseppe Jato. L’affare sarebbe stato realizzato con la supervisione del capomafia di Salemi Michele Gucciardi che, con la complicità di un agronomo aveva costretto i Salvo a rinunciare ai diritti sui vigneti.
Sui terreni pendeva, infatti, una richiesta, della Salvo, di autorizzazione all’espianto per rivendere poi i diritti di reimpianto. Se il progetto fosse andato in porto gli acquirenti non avrebbero avuto i finanziamenti europei per la ristrutturazione delle superfici vinarie. Parte dei soldi ottenuti dall’affare, secondo i pm, sarebbero andati al boss Matteo Messina Denaro. «Ricordo distintamente che Salvo – racconta una testimone – ebbe a dirmi che, attraverso Nicastri, Messina Denaro avrebbe ottenuto la grande soddisfazione di appropriarsi di beni che appartenevano alla famiglia Salvo».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA