POGGIOREALE (TRAPANI) – Un lucchetto separa l’antica Poggioreale dal resto del mondo. Ma basta girare attorno al cancello e si apre uno scenario irreale: la piazza deserta dove si aggirano due cani spauriti, lo scorcio di quello che una volta era il corso principale, le case con le crepe ai muri rimasti miracolosamente in piedi, ruderi che nessuno ha rimosso, vecchi palazzi che mostrano un’antica solennità architettonica. L’ambulanza con il muso accartocciato e senza sportelli è rimasta nel garage da dove non è mai più uscita. L’insegna del negozio di generi alimentari è arrugginita come i segnali stradali e le ringhiere dei balconi.
Da cinquant’anni il tempo si è fermato nel paese fantasma, abbandonato da tutti dopo il terremoto del 1968 e ricostruito quattro chilometri più in là. In questo poggio del Belice vivevano quasi quattromila persone. Nel nuovo se ne contano 1.500 ma ci sono spazi enormi come la piazza Elimo disegnata da Paolo Portoghesi e un tessuto urbano che può accogliere molte più persone di quante ne siano rimaste. «Qui i ragazzi pensano solo a emigrare perché non si possono fare progetti di sviluppo», dice il sindaco Lorenzo Pagliaroli che mette subito il dito nella piaga. Quella dell’emigrazione è per la verità una storia vecchia. Negli anni Cinquanta e Sessanta migliaia di persone lasciarono il «Poggio del Re», fondato nel 1643 dal principe Francesco Morso, per cercare un avvenire in Australia. E proprio da Sidney, dove quegli emigranti sono diventati manager e imprenditori, arrivano gli aiuti, i sostegni, le risorse che potrebbero aprire una pagina nuova e fare diventare un’opportunità i ruderi del terremoto.
L’idea è nata quando qualcuno ha scelto l’antico poggio in rovina come set cinematografico con ambientazioni suggestive in uno scenario unico perché reale. Come il regista premio Oscar Giuseppe Tornatore che tra le rovine ha girato alcune scene del film «L’uomo delle stelle» con Sergio Castellitto. Poi sono arrivati i vigili del fuoco per addestrare i cani da soccorso, la Protezione civile ha scelto queste macerie per esercitazioni dal vero, i turisti hanno cominciato a farsi vedere a gruppi, i vecchi emigranti sono stati presi dalla nostalgia tanto che a Sidney hanno messo in piedi un comitato nel nome di Sant’Antonio da Padova, il patrono del paese. Il collante della fede ha dato così forza al progetto di recuperare l’antica chiesa madre e sarà finanziato anche con i soldi australiani. Due milioni di euro sono già pronti. Vengono dalle offerte e da una casa di riposo gestita dalla comunità siciliana. Un altro gioiello già recuperato e messo in sicurezza è l’antico palazzo Agosta che i giovani e i meno giovani del comitato di «Poggioreale antica» hanno fatto diventare un museo spontaneo. Girando per le strade deserte e rovistando tra le macerie, hanno recuperato tanti oggetti di memoria che riportano a una civiltà scomparsa. Da una casa abbandonata hanno tirato fuori una culla. Da un’altra scarpe e valigie lasciate dopo le prime scosse del 14 gennaio. E poi attrezzi agricoli, giornali d’epoca, riviste, corredi di famiglie contadine, lettere, carte. Tante le foto ritrovate che raccontano in bianco e nero la vita del borgo di cinquanta anni fa e oltre: scene di matrimoni con cortei nuziali, fidanzamenti, ritratti familiari. L’obiettivo è quello di ordinare questo materiale con un percorso multimediale su due piani del palazzo. C’è un altro recupero di cui il sindaco Pagliaroli va fiero: è quello di un antico abbeveratoio che tutti conoscono come il «lavamuli». Serviva per lavare e pulire i muli prima di portarli nelle stalle annesse alle case.
Ma la sfida più grande è quella di cambiare l’economia mettendo in piedi una sorta di «industria delle macerie» che piace molto ai poggiorealesi d’Australia. Tanto che da Sidney sono arrivati, per i cinquant’anni dal terremoto, il presidente Pietro Maniscalco e altri quattro componenti del comitato di Sant’Antonio. Vengono per incoraggiare il nuovo corso e per portare idee e risorse. A Poggioreale molti pensano che, una volta tanto, una ricostruzione calata dall’alto e il lungo abbandono del paese fantasma possa diventare una vera opportunità. L’idea è quella di muovere l’economia creando l’immagine di una Pompei moderna. Se non servirà a frenare l’emigrazione dei giovani entrerà almeno nei circuiti turistici internazionali e continuerà a essere scelta come set cinematografico.