PALERMO – «Alle 19 si è avvicinata la motovedetta tunisina in alto mare. Due persone a prua hanno cominciato a spararci contro a mitraglia. Siamo scappati tutti sotto coperta, chi in ghiacciaia, chi in sala macchine, c’è stato il panico». A parlare, dal suo telefono satellitare, è Giacomo Giacalone, 28 anni, da nove anni comandante dell’Anna Madre il peschereccio attaccato ieri nel Canale di Sicilia insieme con l’Aliseo, un altro motopesca della marinaeria mazarese che però non è rimasto direattemente coinvolto nell’episodio in quanto più distante.
L’equipaggio dell’Anna Madre invece se l’è vista brutta. Il natante era partito l’1 agosto per una battuta di pesca di 30-40 giorni a caccia di triglie, dentici e calamari. Ogni 3-4 giorni il natante va a depositare il pescato a Lampedusa per la spedizione.
«Siamo rimasti in balia dei tunisini per circa un’ora. Ma non ci siamo fermati, abbiamo continuato a navigare. E loro continuavano a sparare. Dopo un’ora si è avvicinata la nave della marina militare da cui è partito l’elicottero che ci ha salvato» spiega Giacalone.
«E’ la prima volta che sparano contro la mia imbarcazione – aggiunge – Ma altre volte ci hanno inseguito. A bordo siamo 10 persone, tre italiani e sette tunisini. Il nostro è un lavoro duro. Ed è diventato anche molto pericoloso. Per fortuna stiamo tutti bene. Nessuno è ferito. E l’intervento della Marina militare è stato risolutivo».
L’Anna Madre si trova ora a 18 miglia a sud di Lampedusa dove dovrebbe giungere domani mattina. Dall’isola l’equipaggio ripartirà per continuare la battuta di pesca.
Giampiero Giacalone, uno degli armatori dell’Anna madre con il nipote Alessandro Giacalone della società armatrice «Pesca giovane srl», ha spiegato che l’attacco è avvenuto in acque internazionali. «Dai tracciati in possesso della Capitaneria di porto e inviati dal blue box – ha detto si evince chiaramente che il peschereccio si trovava in acque internazionali, fra 30 e 35 miglia Nord-Est di Zarzis». Giacalone smentisce il fatto che una motovedetta militare tunisina sia intervenuta a difesa del peschereccio mazarese: «Era solo una la motovedetta ed era quella assalitrice».
«L’intera operazione – prosegue – si è protratta per circa un’ora e mezza, finchè la motovedetta militare tunisina non ha desistito dal suo intento, poi il suo equipaggio si sarebbe giustificato dicendo di avere effettuato una errata valutazione della distanza dalla costa tunisina».
«Alla luce di quanto emerso circa l’errata valutazione della distanza dalla costa del Paese nordafricano del nostro peschereccio, come si evince, lo ribadisco, dai tracciati blue-box , sarebbe giusto che il governo tunisino esprimesse le sue scuse ufficiali non tanto a noi quanto al governo italiano. Il nostro auspicio è che fatti di una simile gravità non abbiano più a ripetersi», conclude l’armatore.