Nel Trapanese
Saline di Marsala a rischio sviluppo: costi di raccolta alti e mancanza di manodopera
«La sola produzione di sale non è più redditizia», dice Antonio D’Alì Staiti della «Sosalt Spa» che, al mulino «Ettore e Infersa» di Marsala, ha aperto i lavori del workshop finale del progetto europeo «Mediterranean Artisanal Salinas»
In un gioco di colori e riflessi mettono in scena da secoli uno spettacolo a cielo aperto. Si trovano all’interno della riserva naturale orientata Isole dello Stagnone nel Libero consorzio comunale di Trapani, che fu istituita nel 1984 dalla Regione Siciliana. Sono le saline di Marsala che oltre all’attività imprenditoriale legata all’estrazione dell’elemento, offrono riparo a numerose specie di uccelli migratori. E soprattutto accolgono ogni anno migliaia di visitatori. Ma tutto ciò non basta per rilanciarle, «Senza attività di turismo sostenibile, innovazione e sviluppo di prodotti secondari le saline medio-piccole del Mediterraneo non hanno futuro», è l’appello lanciato dagli operatori economici. «La sola produzione di sale non è più redditizia», dice Antonio D’Alì Staiti della «Sosalt Spa» che, al mulino «Ettore e Infersa» di Marsala, ha aperto i lavori del workshop finale del progetto europeo «Mediterranean Artisanal Salinas»: a confronto le esperienze delle produzioni artigianali di Libano, Italia, Spagna e Tunisia. Due anni d’attività che sono arrivati al culmine con il meeting siciliano che è servito per illustrare e definire un modello di gestione sostenibile e adattabile per le saline, «avendo così la possibilità di rimanere competitive sul mercato, garantendo di migliorare il valore ambientale e sociale».
«Gli alti costi di raccolta e la mancanza di manodopera pesano sulla produzione del sale marino – ha detto Giacomo D’Alì Staiti, presidente di «Sosalt Spa» – ma è necessario non far morire quest’attività e le stesse saline che riqualificano un territorio e lo arricchiscono anche da un punto di vista storico e culturale» Nel mondo dalle saline medio-grandi viene prodotto il 30% del sale che finisce sulle tavole, mentre il restante 70% proviene dalle miniere. Nell’ambito del progetto presentarto con 480 mila euro sono state finanziate alcune azioni pilota in 15 saline del Mediterraneo: 2 in Italia (Marsala e Cervia), 60 mila euro, 6 in Libano e 3 in Tunisia, 180 mila euro e 4 in Spagna, 180 mila euro. A Marsala, nelle saline «Ettore e Infersa» è stata recuperata la «Traversa a mare», ossia l’argine esterno della salina, riutilizzando in parte i conci di tufo antichi.
«La zona è stata ora inserita come percorso ecoturistico da percorrere a piedi e ci consentirà, in futuro, di promuovere attività di birdwatching», ha chiarito D’Alì Staiti. Le saline «Ettore e Infersa» già da anni hanno iniziato ad affiancare alla tradizionale raccolta del sale (quest’anno effettuata in notturna) l’attività di saliturismo: a visitatori e turisti viene data la possibilità di fare i salinari per un giorno, oppure di immergersi nelle diverse vasche per un percorso benessere, in uno dei posti più belli e fotografati della Sicilia. Inoltre tra le saline del Mediterraneo in quella chiamata «La Esperanza» a Cadiz (Spagna), da anni viene praticata l’attività di birdwatching. Alejandro Perez dell’Università di Cadiz spiega il percorso di gestione sostenibile praticato, grazie all’Ateneo. L’attività nei 39 ettari della salina è stata riavviata 33 anni fa, da 17 viene praticato il birdwatching: «Oggi per il nostro Ateneo la salina è un laboratorio naturale – dice Perez, docente di Conservazione di spazi naturali e Biologia – abbiamo provveduto al recupero della salina che era abbandonata e oggi, grazie alle attività collaterali di ecoturismo alla tradizionale raccolta, l’impianto è diventato redditizio». I nidi di uccelli in salina sono passati da 50 a 500.
L’esperienza di birdwatching di Cadiz è ripetibile anche a Marsala: «Le saline Ettore e Infersa sono un habitat straordinario per molti uccelli migratori che attraversano il Mediterraneo, quindi sono terreno fertile per sviluppare attività di birdwatching – sostiene Girolamo Culmone, consigliere della Società italiana di geologia ambientale – mantenere in vita questi impianti deve essere l’obiettivo comune di istituzioni e privati insieme». Le saline sono di origine fenicia, il geografo arabo al-Idr ne documenta la loro presenza già nel periodo della dominazione normanna in Sicilia. Sotto il regno di Federico di Svevia fu istituito il monopolio di Stato sulla produzione del sale, che si protrasse anche durante la dominazione angioina. Furono in seguito gli aragonesi a sancire il ritorno alla proprietà privata, ma fu sotto la corona spagnola che l’attività di produzione del sale raggiunse la sua acme, trasformando il porto di Trapani nel più importante centro europeo di commercio del prezioso elemento. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA