Lo scettro e la sirena, nuova luce sull’antica Selinunte con una sensazionale scoperta

Di Redazione / 23 Luglio 2022
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Un’agorà di quasi 33 mila metri quadrati, la più grande del mondo antico, che torna a mostrare i suoi confini. E poi ancora, sull'acropoli, i resti di quello che sembra essere stato il luogo sacro dei primissimi coloni greci di Selinunte, arrivati al seguito del fondatore Pammilo da Megara Hyblea. Ma anche amuleti e oggetti di grande raffinatezza uguali ad altri ritrovati in Grecia, a Delfi, che si aggiungono al mistero di uno stampo in pietra usato forse per fondere uno scettro in bronzo. Sono le scoperte – che l’ANSA pubblica in anteprima – dell’ultima campagna di scavi guidata da Clemente Marconi nel parco archeologico siciliano, un’impresa che ha visto lavorare insieme per la prima volta due missioni internazionali, quella dell’Institute of Fine Arts della New York University e dell’Università degli Studi di Milano con la squadra dell’Istituto Archeologico Germanico. «Risultati della massima importanza per la conoscenza di Selinunte in età arcaica e classica», sottolinea con emozione Marconi, l’archeologo che da decenni studia i resti dell’antica colonia greca. Scoperte che accendono una nuova luce sulla storia affascinante e breve di questa città e che si annunciano mentre nel parco siciliano – il più grande d’Europa con i suoi 270 ettari di natura e maestose rovine affacciate sul mare – un intervento sulla vegetazione studiato dall’Istituto Germanico ha appena riportato alla luce i confini dell’agorà, dalle dimensioni enormi (il doppio di Piazza del Popolo a Roma) e la forma vagamente trapezoidale con al centro, unico monumento, una tomba, forse proprio quella del fondatore. «Una conca vuota che impressiona per la sua ampiezza e il suo fitto mistero», sorride il direttore del Parco archeologico di Selinunte, Felice Crescente. Uno spazio «che dà l’idea della magnificenza di questa città e della sua straordinaria essenza», commenta accanto a lui l’assessore alla cultura Alberto Samonà. 

 

 

Dopo due anni rallentati dalla pandemia, in giugno si è ripreso a scavare a pieno ritmo e i risultati, sottolinea Marconi, «sono andati molto oltre le aspettative». L’idea di partenza era quella di riuscire a datare l’epoca di costruzione di due dei templi più recenti dell’acropoli, denominati A e O, a lungo ritenuti gemelli. Lo scavo ha dimostrato che A è stato costruito prima di O e che la costruzione di quest’ultimo è stata probabilmente interrotta per uno smottamento del terreno.

 

 

La scoperta più importante però, è stata quella di una faglia d’acqua sotto le fondazioni del tempio A, un particolare, indica il professore, «che conferma l’ipotesi che i primi coloni greci si siano insediati proprio in questa porzione meridionale dell’Acropoli». E’ qui, insomma, che nasce l’antica Selinus. Non solo. Perché scavando in profondità intorno ad un terzo tempio, il cosiddetto R, costruito nel VI secolo a.C. e poi forse riedificato dopo il 409 a.C. quando i Cartaginesi occuparono e distrussero la città, gli archeologi hanno identificato le mura di un recinto rituale risalente al 610 a.C., non molto tempo dopo quindi l’arrivo dei coloni guidati da Pammilo, che Tucidide fissa al 628 a.C. e Diodoro al 650 a.C.. Ed è sempre qui, dentro il tempio R, che la terra ha restituito la parte mancante di una matrice in pietra (la prima era stata trovata dieci anni fa a breve distanza) servita per la fusione di un oggetto in bronzo, sembra uno scettro. Un oggetto così prezioso, ipotizzano oggi gli archeologi, da non dover essere replicato. Per questo subito dopo la fusione le matrici sarebbero state seppellite in due luoghi diversi. 

 

 

Da quello stesso edificio, rivela Marconi, arrivano poi due oggetti, che nei prossimi giorni verranno esposti nell’antiquarium del Parco: un amuleto in forma di falco, immagine del dio del cielo Horo realizzata in blu egizio, che arriva dall’Egitto della fine del VII secolo a.C., e una statuina in miniatura raffinatissima di una sirena in avorio, ritrovata in frammenti nel 2017 e ricostruita in questi mesi in laboratorio. Una piccola meraviglia, sottolinea Marconi, quasi certamente importata dalla Grecia, che «racconta la ricchezza raggiunta dalla città nel VI secolo a.C.». Due secoli più tardi la fine per Selinunte sarà terribile, con la città messa a ferro e fuoco dai soldati di Annibale. Sepolta per secoli, la grandeur di quel secolo d’oro torna oggi a stupire.  
 

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Pubblicato da:
Carmela Marino
Tag: marconi parco archeologico scavi scettro scoperta selinunte sirena