Nel 1867 nella Sicilia occidentale, a Trapani soprattutto, esistevano 120 schifazzi, citano le fonti, ma già sul finire del Settecento la flottiglia mercantile era composta quasi interamente da schifazzi. Le imbarcazione siciliane venivano utilizzate sia per la pesca delle spugne e il trasporto del corallo sia per il trasporto delle merci – vino, sale, olio, manna – che viaggiavano lungo le coste siciliane, calabre e pugliesi. Di fatto erano imbarcazioni a vela latina, dalle piccole o medie dimensioni. L’origine del nome non è certa, ma per lo più si identifica con la definizione di “grossa barca”, esistendo un’imbarcazione chiamata “schifo”.
La lunghezza fuoritutto coincide con la linea di galleggiamento che le dava un aspetto possente ed era attrezzato in maniera semplice e ciò consentiva costi di esercizio piuttosto contenuti. Nella storia della marineria trapanese l’utilizzo di queste barche, oggi scomparse, è stata molto importante. Le ultime sopravvissute sono abbandonate in un braccio laterale del Canale di Mezzo, vicino alle saline, un cimitero di legni, testimoni di una parte della flotta degli schifazzi e delle muciare (le barche utilizzate per la pesca del tonno) dismesse già prima del 1984 ma rimaste lì a testimoniare un passato operoso ma sepolto. Le barche erano di proprietà di armatori benestanti, per lo più proprietari di cave di tufo o di saline che affidavano il mezzo ai comandanti pagati a viaggio. Va considerato poi che fino agli anni Cinquanta gli schifazzi si muovevano lenti e solcavano silenziosi le acque del porto e per lo più trasportavano i conci di tufo che venivano dall’isola di Favignana, dove vi erano grandi cave tufacee, e molti di questi erano di proprietà della famiglia Gandolfo. Tanti “mastri d’ascia”, costruttori navali dalla mani sapienti sono rimasti nella storia del trasporto per mare e tra questi Michele D’Amico, Nanai Stabile, Cavasino, Lillo Stampa e nell’Ottocento De Vincenzo Bascone, Frusteri, Greco e altri.
Testimonianze preziose e precise di queste barche sono oggi visibili in schizzi, disegni e fotografie d’epoca conservate negli archivi pubblici e privati mentre l’ultimo esemplare ancora “quasi in vita” si trova in pessime condizioni ormeggiato alla Lega Navale di Trapani ed è il “Gesù, Giuseppe e Maria”, un nome quasi come se fosse un’invocazione sacrale. La barca in completo stato stato di abbandono da molti anni, è stata acquisita dalla Lega Navale grazie alla donazione, avvenuta nel 2012, di un generoso avvocato trapanese Vito Scuderi, scomparso alcuni anni fa, appassionato di mare che l’aveva acquisita dal precedente proprietario, Elio Catalano, anche lui appassionato e velista. L’avv. Scuderi aveva restaurato lo schifazzo con il sostegno di una Associazione che prendeva il nome di “Amici dello Schifazzo” che lui stesso aveva costituito e che gli consentiva un supporto economico che doveva essere sempre più consistente essendo l’imbarcazione tutta di legno e avendo necessità di continua manutenzione. Nel restauro, la barca era stata in parte trasformata per le esigenze del diporto, modificato il piano coperta e l’armo velico. Un altro schifazzo, il “San Giacomo” di proprietà dell’ex Provincia per molti anni è rimasto in secco sull’invasatura di un cantiere navale in attesa di un restauro annunciato ma mai avvenuto.
Adesso l’impegno della sezione trapanese della Lega Navale, supportato da alcuni sponsor privati, potrà consentire all’ultimo schifazzo, oggi moribondo, di riprendere il mare; ma non solo, di essere riconsegnato alla città che si riapproprierà così di un pezzo storico della sua cultura marinara Il progetto, guidato dal presidente della sezione, Nicola di Vita, prevede di restauro dello storico schifazzo “Gesù Giuseppe e Maria”, costruito nel 1937 nel cantiere del mastro navale Matteo Stabile. È una barca di 8.62 metri per una larghezza di 3.31 m. e un’altezza di 1.05 con una stazza lorda di 5,67 tonnellate. La barca per un certo periodo e fino al 1965, è stata adibita a battello postale che faceva la spola con le isole Egadi Fino al 2012 dunque l’ultimo schifazzo è stato in mare.
Lo scafo e le strutture portanti, nonostante le cattive condizioni generali, sono per lo più ancora integre e il suo recupero come afferma il presidente Di Vita «passa attraverso una integrale ristrutturazione in conformità con i piano originari». Per riportare la barca in perfetto stato di navigazione sarà necessario il ripristino della totale integrità dello scafo, il ripristino dei piani originali della coperta e dell’armo velico e la sostituzione del motore di servizio. Il recupero dello scafo, in particolare, prevede la carteggiatura, la sostituzione del fasciame ammalorato, la richiodatura, la calafatura e la verniciatura integrale. Per il primo blocco di lavori è stata preventivata una spesa di alcune decine di migliaia di euro. Gli altri lavori prevedono il ripristino dell’originale piano di coperta con l’eliminazione della tuga, il rifacimento del piano velico originale a vela latina e la sostituzione del motore. «È un progetto molto importante e su cui, come sezione trapanese della Lega Navale, lavoriamo da mesi in collaborazione con il Comune di Trapani, sponsor e privati cittadini», ha detto ancora Di Vita. Conclusa la prima fase del recupero della barca, lo schifazzo assumerà il ruolo «di imbarcazione istituzionale della Lega Navale e dell’intera città testimone navigante di un tempo e di un’arte che fu, a beneficio di cittadini, studenti e turisti che avranno la possibilità, proprio a bordo dello schifazzo, di approfondire la storia della città».
E sempre in tema di recupero di imbarcazioni che rischiano di essere dimenticate anche dalla storia, in questi mesi nella vicina Valderice, si sta procedendo al recupero delle antiche “muciare”, le lunghe barche panciute utilizzate dalla tonnara di Bonagia per la mattanza ormai da decenni in disarmo, ma esempio di vera archeologia industriale. Grazie ad un progetto europeo e al piano del Flag, Fondazione Tonni e Tonnare del Litorale trapanese, l’impresa indicata ha recuperato tre vascelli che presto saranno posizionati e “musealizzati” in una struttura forse un po’ troppo invasiva recentemente realizzata al lato della ex tonnara che guarda il porticciolo di Bonagia, ora trasformata in multiproprietà e resort di lusso.