Trapani
Confisca ex patron Valtur, l’ex muratore diventato miliardario e in affari con Messina Denaro
PALERMO – La lista dei beni confiscati è lunghissima. Compone un patrimonio valutato un miliardo e mezzo di euro che, secondo la Dia, Carmelo Patti, patron della Valtur e imprenditore venuto su dal nulla, aveva costruito facendo affari con la mafia. Anzi, con la componente più dinamica e potente di Cosa nostra: quella che fa capo al latitante Matteo Messina Denaro. L’ordine di confisca dell’impero economico che Patti, morto nel 2016 a 82 anni, ha lasciato alla moglie e ai tre figli è la più pesante misura antimafia della storia giudiziaria italiana. Per coglierne l’entità basta scorrere il provvedimento (446 pagine) del tribunale di Trapani che sottrae alla famiglia Patti tre resort turistici, beni della vecchia Valtur ora in amministrazione straordinaria per un forte indebitamento, le quote di 25 società (qualcuna leader nel settore del cablaggio automobilistico), un’imbarcazione, terreni e immobili in giro per l’Italia, in Marocco e in Tunisia.
Tra i pezzi pregiati confiscati ci sono i resort di Punta Fanfalo (Favignana), Isola Capo Rizzuto (Crotone) e Kamarina (Ragusa). Ma la società Kamarina Resort, per il 78 per cento in mano alla famiglia olandese Den Dekker, ha escluso che la struttura possa essere sequestrata o confiscata perché «non ha nulla a che spartire» con gli eredi di Patti. I legali dei familiari dell’industriale, Francesco Bertorotta e Angelo Mangione, annunciano appello e dicono che «il provvedimento del tribunale rappresenta un vero e proprio cortocircuito della giustizia in quanto emesso in violazione di tutti i principi che regolano le misure di prevenzione e si pone in aperto abbandono di quei principi fondamentali ribaditi con forza anche di recente dalla Cassazione, dalla Corte Costituzionale e dalla Corte dei diritti dell’uomo».
La Dia, che ha indagato per sei anni, e il tribunale di Trapani sostengono invece che Patti sia diventato un capitano d’industria con una «spregiudicata gestione degli affari» e che “inspiegabilmente è stato ammesso», da fallito, nel «salotto buono dell’economia italiana». La sua scalata finanziaria sarebbe il frutto di evasioni e di un sistema di relazioni con la mafia di Messina Denaro che arrivava fino ad ambienti della massoneria. Negli anni d’oro della sua ascesa imprenditoriale Patti si sarebbe avvalso anche della collaborazione fidata del commercialista Michele Alagna, cognato di fatto di Matteo Messina Denaro, che aveva conosciuto per caso negli anni Settanta nel salone di un barbiere a Castelvetrano.
Il direttore della Dia, Giuseppe Governale, traccia dell’imprenditore scomparso la figura di un cavaliere dal percorso oscuro e misterioso. Era un giovane muratore che a Castelvetrano faceva la fame. Lui stesso dirà che con il padre non aveva neanche i soldi per sopravvivere. Poi il trasferimento a Robbio (Pavia) e l’inizio di un’attività di vendita di cablaggi elettrici per auto. In breve la sua «Cablelettra” divenne una multinazionale con filiali in Italia e nel mondo. Nel 1997 il grande salto imprenditoriale con l’acquisto della Valtur e dei suoi villaggi vacanza. Tre anni dopo, quando l’impero di Patti supera i 5 miliardi di euro, comincia una complessa vicenda giudiziaria con accuse di collusioni che arrivano da almeno tre pentiti: Angelo Siino il «ministro dei lavori pubblici» di Cosa nostra, Antonino Giuffré e Giovanni Ingrasciotta. Ma a far precipitare tutto sono le indagini su evasioni fiscali e su rapporti opachi con aziende «cartiere» che avrebbero emesso fatture per operazioni inesistenti: un sistema di solito utilizzato per creare fondi in nero. E così, dice Governale, «Patti come Lucky Luciano finisce sotto i riflettori della Dia per una maxi evasione fiscale». Eppure l’ex patron della Valtur non ha mai subito una condanna. Anzi per le accuse più serie è stato perfino assolto dal tribunale di Marsala e dalla corte d’appello di Palermo. Per questo i suoi legali ora preannunciano ricorsi in ogni sede». Fino alla corte europea dei diritti dell’uomo.