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Belice, l’utopia della ricostruzione tra new town e arte

Di Redazione |

PALERMO – Fra il 14 e il 15 gennaio 1968 il terremoto muta per sempre il volto del Belice, mettendo a nudo vecchie e nuove miserie in una terra segnata dalla povertà e dall’emigrazione. La ricostruzione parte in un clima politico acceso, segnato da scontri in materia di legislazione urbanistica. In questo contesto fortemente penalizzato dal degrado e dall’affarismo politico mafioso, la rinascita del Belice indica la possibilità di un cambiamento e di crescita civile attraverso la programmazione urbanistica. Un’opportunità unica per architetti e urbanisti di fama internazionale, chiamati dall’impegno di intellettuali come Danilo Dolci.

Il Belice diviene così una nuova frontiera che sperimenta idee che si riveleranno un’utopia. E i volti degli uomini segnati dal dolore divengono sempre più sfumati. Gli appelli di don Antonio Riboldi, parroco di Santa Ninfa, cadono nel vuoto. Viene affidato alla pianificazione il compito di riscattare il territorio adottando modelli calati dall’alto. I centri urbani distrutti sono ricostruiti altrove. Prima si sceglie di realizzare le infrastrutture poi le case.

I grandi appalti riscrivono il territorio con viadotti faraonici e svincoli sul nulla. I tempi di realizzazione delle opere si dilatano. Intanto centomila persone attendono nelle baracche. Si progettano surreali città giardino sul modello dei quartieri suburbani nord europei che si rivelano un fallimento.

Poggioreale viene rifondata a valle con un’enorme piazza deserta postmoderna progettata da Paolo Portoghesi. Ma le rovine del vecchio paese sono sempre visibili, scheletri angoscianti a eterno ricordo del terremoto e di un’identità negata.

A Partanna viene costruito un nuovo quartiere a un livello più basso rispetto alla città storica. Gibellina rinasce a 15 chilometri dal vecchio sito. Anche qui prima si realizzano le opere di urbanizzazione primaria, poi le case. L’occasione è perduta.

Alla fine degli anni ’70 il disastro della ricostruzione del Belice è sotto gli occhi di tutti: le «new town» sono un grande vuoto firmato da architetti e urbanisti di fama, dove gli abitanti si aggirano spaesati. Ed è proprio sul finire degli anni Settanta che si afferma il laboratorio Gibellina, grazie alla lungimiranza del suo sindaco Ludovico Corrao e all’apporto dello scultore Ludovico Consagra. L’idea è che l’arte contemporanea possa conferire valenza iconica a questi spazi senza qualità.

La stella di Consagra, la porta del Belice che apre la via per Gibellina, è uno dei primi segnali di un progetto di grande successo internazionale che richiama artisti visivi e architetti, registi e scrittori, attori e musicisti da tutta Europa. Nell’ambito della ricostruzione a Gibellina lavorano celebri architetti come Samonà, Mendini, Venezia, Thermes e Purini. Scultori come Melotti, Uncini e Cascella sono invitati a delineare una nuova immagine urbana. Mentre un importante museo di arte contemporanea raccoglie le opere donate dai più importanti artisti del Novecento.

L’intervento più famoso è il Cretto di Alberto Burri, un bianco sudario che ricopre, fermandolo nel tempo, l’abitato di Gibellina vecchia. Ma non mancano opere rivelatesi un flop clamoroso, come la Chiesa progettata da Ludovico Quaroni che nel 1994 crolla. Gibellina resta comunque un progetto nel deserto, che tuttavia ha regalato alla Sicilia qualità e modernità fino ad allora sconosciute e che continua a vivere, anche dopo la morte di Corrao, grazie alla Fondazione Orestiadi.

Proprio in questi giorni sono stati avviati accordi fra il Comune, la Fondazione e le Tenute Orestiadi e l’Accademia di Brera per il restauro e la manutenzione delle tante opere d’arte sparse nel territorio. Dice Maurizio Carta, docente di Urbanistica a Palermo: «Le giovani generazioni pensano al futuro in modo nuovo, uno sguardo comune sta cambiando il paradigma della ricostruzione, raccogliendo la sfida dal volto umano lanciata tanti anni fa da Danilo Dolci».

I comuni del Belice oggi puntano su strategie comuni di sviluppo economiche e turistiche, hanno riavviato la redazione dei piani regolatori. Il tema della ricostruzione è diventato un progetto condiviso. Sono luoghi che stanno cercando un nuovo senso, l’immagine compiuta della loro esistenza e un rapporto costruttivo con ciò che resta, la trama di macerie che dopo cinquanta anni segna ancora quel territorio.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA