Ventitré anni senza il Cavaliere Angelo Massimino, storico presidente del Catania dal lontano 1969 a quel tragico 4 marzo del 1996 quando l’auto guidata dal genero, l’ingegnere Pino Inzalaco rimasto miracolosamente illeso ma che ci ha lasciati anche lui poco più di un anno fa, sbandò sull’autostrada Palermo-Catania in quel tratto “maledetto” tra Scillato e Tre Monzelli.
Pioveva a dirotto quel giorno e l’indimenticabile presidente era di ritorno dal capoluogo siciliano dove si era recato per difendere la causa al Tar della sua amata creatura che aveva subito una grave ingiustizia. E oggi a distanza di tanto tempo si può ben dire che se il Catania 1946 esiste ancora, gran parte di merito fu proprio del celebre presidentissimo che per ben due volte portò i rossazzurri in Serie A: la prima volta nella stagione 69-70, la seconda nel 1982-83 lottando spesso “solo contro tutti”, contestato anche ma subito dopo amato più di prima, un imprenditore che costruì la sua fortuna dal nulla e che si espose economicamente in prima persona per far sopravvivere il Catania in una città dove Massimino ebbe pochissimi aiuti concreti.
Vulcanico ma spontaneo, noto per le sue battute inedite rimaste famoso del tipo “C’è chi può e chi non può. Io può” il cronista si accorse della sua immensa popolarità e stima che nutrivano i presidenti e i dirigenti anche delle società più illustri, quando lo vide in azione al calcio mercato autunnale del 1983 e precisamente all’hotel San Marco di Milano dove in un batter d’occhio riuscì ad acquistare quell’Andrea Carnevale che avrebbe indossato poco tempo dopo la maglia della Nazionale in un campionato del modo.
Ma sono stati tanti i calciatori di grande levatura portati dal Cavaliere a Catania. I suoi quasi 30 anni da presidente del Catania non sono di certo stati “rose e fiori” ma il Cavaliere risollevò sempre alla grande la sua “creatura”. Capiva di calcio più di un tecnico, lavorava 24 ore al giorno e al ritorno delle trasferte dopo una notte insonne trascorsi in viaggio, si presentava puntuale alle 6 del mattino nel suo cantiere a Canalicchio per lavorare assieme ai suoi operai. Si scontrò con diversi colleghi, perfino con giornalisti celebri e prese a calci un giorno all’aeroporto la valigia di Super Pippo Baudo ma i suoi erano scatti di rabbia perché non voleva che gli toccassero la squadra rossazzurra e poi il Cavaliere il giorno dopo aveva già dimenticato tutto…Non portava mai rancore.
Al suo funerale fu salutato per l’ultima volta da una folla immensa e l’allora arcivescovo Bommarito lo definì “l’Angelo” del Catania. «Sono passati 23 anni, ma la nostra tristezza caro presidente è immensa come se ci avessi lasciato ieri» sono state le parole ieri di Aldo Cantarutti, un altro “figlio” calcistico dell’indimenticabile Cavaliere.