Bisogna aver vissuto almeno un pezzo, anche solo un piccolo pezzo di una storia che sa di favola, per capire, per raccontare, per rivivere. E per emozionarsi ancora. Già, emozionarsi, pensare che il calcio è un gioco bellissimo anche senza la televisione, senza sponsor, senza infiniti replay che ti fanno perdere il gusto del dubbio, dell’errore clamoroso, della topica, ma anche della prodezza, della furbizia, del mestiere che è un patrimonio umano unico, accumulato con la fatica, con l’intelligenza, con il gusto del rischio e della prodezza.
Emozionarsi con il pallone, dunque. Si può, certo, ma guardando per un attimo indietro, al tempo in cui i campi d’erba per il calcio dilettantistico (che dilettantistico era per modo di dire) erano rari dalle nostre parti e quelli in sintetico non erano stati inventati. Il tempo in cui c’erano presidenti tosti e volitivi, quasi sempre gente con una sola parola, nel senso che se prometteva manteneva, se doveva pagare, pagava. Se doveva o voleva sognare e far sognare un paese e una città, sapeva come fare.
Un altro tempo, indietro nel tempo. E arriviamo a noi, ai piedi dell’Etna, a uno di quei paesi che hanno vissuto di calcio attraversando anni di grazia, di vittorie e di meraviglia, di campioni venuti a portare il loro contributo di classe e di esperienza, ma anche di semplici e onesti calciatori, che, magari, avrebbero potuto vivere altre carriere, altri splendori, ma la vita, i capricci, le beffe e gli ostacoli inattesi del quotidiano, hanno inchiodato a più modeste categorie. Dove, però, hanno lottato, hanno combattuto, hanno sputato sangue ogni santa domenica e hanno fatto orgogliosamente la storia.
Ecco, arrivati. Mascalucia, Catania alle spalle, invadente, l’Etna di fronte, maestosa. Qui il calcio è stata magia, ma magia popolare, il pallone ha contribuito a caratterizzare un’intera comunità, lo stadio, quello stadio, che ha visto alzarsi polveroni in accaniti duelli in mezzo al campo, dimenarsi fior di giocatori in pozzanghere infinite per contendersi un pallone. Ha regalato, il calcio a Mascalucia, gioie, campionati vinti, imprese epiche. Riequilibrate come capita nella vita, quasi diremmo come è giusto che sia per potere godere dei successi appieno, da dolori, sconfitte, addii. E allora se quella della squadra di questo centro è stata, ed è già, storia, è giusto che si ricordi questa storia, si celebri, si brindi al passato che è stato ricco di gloria, di amicizie, di complicità negli spogliatoi che sapevano di alcol canforato e di spirito battagliero.
Il Mascalucia che ha fatto questa storia, si è ritrovato per ricordare quella stagione. Non c’erano tutti, ma erano abbastanza i protagonisti per far rivivere gli anni d’oro, dal 1972 in poi. Allo stesso tavolo, davanti a una pizza e a una birra, allenatori, calciatori, dirigenti, tutta gente che ha contribuito a quelle stagioni meravigliose della società guidata da Pippo D’Urso Somma e retta da sua moglie, l’indimenticabile Rosalba Valente, andata via troppo presto. La storia è quella che molti conoscono e tanti, sportivamente, invidiano. Dalla Prima Categoria, alla Promozione, poi la Serie D, sulla panchina professionisti e uomini-condottieri, da Memo Prenna a Turi Distefano, da Fofò Ammirata a Vittorio Minacapelli, da Angelo Busetta a Melo Russo. In campo tanti protagonisti e una bandiera, Pippetto Fichera. Intendiamoci, vanno citati tutti i protagonisti perché tutti hanno fatto grande quel Mascalucia. Dai primi arrivati, Mario Samperi, Melo Giuffrida, Totò Rizzo, sino a Nicola Fusaro o a Franco Bertolo scomparso proprio il giorno dopo la festa per citare chi ricordiamo a memoria tra chi non c’era. E tra i presenti difficile spiegare a chi non li abbia visti all’opera cosa fossero Nino Strano o Angelo Sciuto o Pippo Strano, o Italia e Papale, per non dire di Stefano Musumeci, che aveva classe e talento con cui avrebbe potuto dare lezioni a tanti che oggi saltellano sui campi di Serie A tra stop mancati e punizioni spedite in curva.
Ma Pippetto Fichera è stata la bandiera del Mascalucia, dal momento in cui tornò a casa reduce da stagioni ricche di gol, con la Massese, con la Juve Stabia, con il Benevento. Gli imprevisti della vita lo riportarono qui e lui fece la scelta del cuore, Mascalucia. Quanti gol, quante prodezze, quante soddisfazioni. Pippetto è Mascalucia, il Mascalucia calcio è Pippetto Fichera, scritto nella storia e nel cuore. Manca oggi nel calcio, per lo meno dalle nostre parti, una realtà come questa celebrata qualche giorno fa. Turi Distefano è stata un po’ l’anima di questa commovente “reunion”, come dicono i francesi, organizzata, vogliamo credere, non solo per nostalgia, ma per far raccontare qualcosa di vero a qualcuno che legga con curiosità e che si domandi perché il calcio è stato (fu) il gioco più bello del mondo. E perché si dovrebbe vivere ancora con lealtà, con senso della misura, con spirito battagliero e coraggio ma da uomini, non da pedine di un sistema che pensa solo ai quattrini. E all’ennesimo replay.
Qui l’unico replay che ci piacerebbe rivivere è qualcuna di quelle memorabili gesta del Bonaiuto Somma, viste da una tribunetta stampa precaria da dove la presidentessa Rosalba, con i piccoli Francesco e Santuzza, incitava in suoi giocatori. Fino alla fine. Ecco, un po’ di nostalgia sì.