Marotta privato come in un film con una colonna sonora non certo commerciale, una sceneggiatura che ha origine nei quartieri Spagnoli di Napoli, si sviluppa attraverso la fitta vegetazione della Giamaica e l’erba dei campi di calcio. L’attaccante del Catania, principe del gol estivo con nove realizzazioni, racconta soprattutto la sua vita lontano dal pallone. Poi, inevitabilmente, il calcio entra a pieno titolo nella sua nuova vita da catanese acquisito.
Ciak, atto prima, scena prima: gli inizi sui selciati.
«Sono nato in un quartiere difficile di Napoli. Ho cominciato per strada e lo sfogo più sano era il calcio. A sei anni correvo senza regole dietro al pallone. E mi facevano compagnia schiere di scugnizzi. Poi alcuni di loro sono diventati giocatori: Nocerino, Pisacane, Salvatore Masiello…»
Fino a 22 anni era uno dei tanti. Segnava poco, girovagava tra la D e la C2. Perché?
«Fino a quell’età giocavo da esterno sinistro o destro. E non segnavo manco a porta vuota. Mi ero scoraggiato perché non riuscivo a incidere».
Poi l’incontro con Luciano Marini che nessuno da queste parti ha mai sentito nominare.
«E scommetto che manco sapete dove si trova geograficamente l’Arrone».
Francamente no.
«Siamo vicino a Terni. Ero reduce da un paio di campionati tra C2 e C1, ma non segnavo. Scesi di categoria, accettai la D. Appena arrivato in Umbria, proprio Marini mi disse: ti cambio di ruolo, da oggi fai il centravanti».
Idea illuminante.
«Inizialmente lo presi per visionario. Cioè, dava la maglia da titolare a uno che non vedeva la porta. Un suicidio tattico. Ero giovane e mi rifiutai in un primo momento».
Quel cambio fu la sua fortuna.
«Dieci anni fa mi sbloccai: 22 gol in quel campionato e addio ruolo da esterno nel 4-4-2. Se poi ho avuto il privilegio di giocare in grandi piazze lo devo a lui».
Lo sente ancora, Marini?
«Sì, spesso. Il passato non si dimentica, nel calcio la riconoscenza è una cosa rara, ma io sono legato a tutti coloro che mi hanno permesso di crescere specie come uomo».
L’impatto con la Sicilia non è stato fortunato. Proprio l’anno prima del famigerato Arrone lei fece cilecca con l’Igea Virtus a Barcellona.
«Avevo 18 anni, ero ancora un esterno senza arte né parte. Non capivo perché. Ma anche quell’anno mi è servito per la crescita caratteriale».
Da appassionati non possiamo non notare il suo tatuaggio in cui è raffigurato Bob Marley, profeta della musica reggae.
«Eh no, così non finiamo più di parlarne. E se ne parlo mi emoziono».
Trattenga le lacrime.
«Marley è un mio mito. A 36 anni morì dopo aver conquistato il mondo, diffondendo il verbo di una piccola Nazione che soffriva, falcidiata da povertà, guerre politiche interne e delinquenza. Marley è emerso dal ghetto di Nine Miles diventando una delle star immortali della musica».
E lei anni fa organizzò un viaggio per arrivare alla radici del suo idolo.
«Sono stato in Giamaica per visitare a Negril la tomba di Marley, con mia moglie ho affrontato un viaggio in bus di cinque ore per arrivare a Nine Miles e vedere dov’è nato il cantante. Quella musica la sento mia, mi rilassa. Ecco perché è nata l’idea del tatuaggio».
La Giamaica è il luogo dell’anima, Napoli quello del cuore.
«Napoli è “a vita miii” (sta per vita mia, ndr). I miei parenti sono tutti residenti lì. Io giro al largo dall’età di 15 anni grazie al calcio, ma ogni volta che torno è una festa. Napoli continuo a viverla anche a distanza».
E come gli altri è cresciuto con il mito di Maradona.
«Mio nonno aveva paura che il calcio fosse un passatempo e non una passione sfrenata. E, allora, mi regalò una maglia, la 10 di Diego. Non immaginava quanto sangue azzurro scorresse dentro le mie vene».
In estate ha fin qui segnato nove gol tra amichevoli e Coppa.
«Lo Monaco e Argurio mi hanno preso per questo. Catania è un ambiente che mi stimola molto, sono venuto qui per questo. La vostra è una città gratificante per un calciatore, anche in amichevole c’è molta gente».
E per strada o quando finisce una partitella a porte aperte lei viene assediato dai sostenitori.
«Sono di Napoli, Catania somiglia alla mia città perché c’è il mare, perché la gente è calorosa, aperta, coreografica. Sì, i tifosi mi riconoscono e le dico che è bello sentirsi rossazzurro e voluto bene».
Troppi selfie, si stancherà.
«No, no. Guardi che è la cosa che cerchiamo da bambini e che sognavo a occhi aperti. Certo non c’erano i selfie a quei tempi, ma gli autografi da firmare. A tutti piace giocare ed entrare nel cuore dei tifosi».
Ci racconti l’impatto con il Massimino in occasione del match di Coppa col Verona.
«Sintetizzo: bellissimo».
Si allarghi.
«Quel momento mi ha esaltato, mi ha dato conferma di quello che è l’ambiente rossazzurro. Il nostro stadio stimola».
La maglia pesa.
«Ma è una maglia importante ed è un onore indossarla».
Un piccolo passo indietro, ma solo un passaggio veloce: segna col Siena a Catania ed esulta portando le mani alle orecchie.
«E lo stadio vien giù per gli insulti che mi indirizzano».
Non si aspettava certo applausi come accadde con Zico.
«Ho cercato di rimediare. Quando ho segnato al Verona ho esultato allo stesso modo. Siamo quasi pari, perché devo fare altri gol importanti in campionato».
Da dove nasce questa esultanza?
«Ho tre figli: Lorenzo di 16 anni, Maddalena di 7, Antonio di due e mezzo. Ecco proprio lui mi guarda giocare e quando segno cerca quell’esultanza. Gli piace vedermi esultare in quel modo. Su Instagram c’è un filmato in cui esulta e grida… Marottaaaa. E’ malato di pallone. Come me».
Come si sta sviluppando il rapporto con Sottil?
«Ho affrontato da avversario il tecnico quando guidava il Siracusa e io ero allo Spezia e poi l’anno scorso in Livorno-Siena. Non gli ho mai fatto gol, ma so cosa vuole da me: vuole che adesso ne possa segnare molti».
Dovrà convivere con la concorrenza di Curiale, capocannoniere del girone C dello stagione scorsa.
«Giusto così. Comunque, Davis è anche un amico. Abbiamo condiviso la stessa camera in ritiro».
Com’è Curiale?
«Il contrario di me: molto… privato, ma ora non scriva che è un orso, se ti dà fiducia diventa davvero simpatico. Mi sono trovato a meraviglia con lui».
Il Catania e l’attesa tra ripescaggio e Serie C. Lei che cosa ne pensa?
«La B ci tocca di diritto, ma non so cosa pensare, adesso. Lavoriamo e basta. La società merita l’ammissione. Speriamo decidano presto, soprattutto speriamo di giocare presto perché a metà settembre saranno due mesi che siamo in ritiro e non lottiamo per i tre punti».
Ha visitato Catania?
«Poco, abbiamo lavorato molto. Ho fatto una puntatina veloce a Ortigia e a Taormina. Senza parole. Sono bellissime».
Se Marotta non avesse giocato a pallone?
«Avrei vissuto in una capanna in Giamaica. E magari ci saremmo visti li per parlare di tutto, ma non di calcio».