CATANIA – Ammette di «avere avuto contatti» per «condizionare il risultato di alcuni incontri» per «salvare dalla retrocessione il Catania», pagando «100mila euro a partita, per cinque gare», tutte quelle al centro dell’inchiesta “I treni del calcio”, ma ritiene che «non abbiano avuto alcuna reale incidenza sull’esito» delle sfide. Nessuna scommessa, soltanto l’obiettivo di evitare la retrocessione in Lega Pro. È la linea di difesa del presidente dimissionario del Catania, Antonino Pulvirenti, che, nell’interrogatorio di garanzia, davanti al Gip Fabio Digiacomo, fa delle ammissioni di colpa, ma con delle precisazioni che, se riscontrate, potrebbe derubricare le accuse contestate di truffa e frode sportiva in tentativo di avere commesso i due reati. Che avrebbe risvolti penali diversi per Pulvirenti, ma non per il Calcio Catania destinato alla retrocessione. Anche se le decisioni sul futuro della società ancora non possono essere prese, perché, spiega il procuratore Giovanni Salvi, alla magistratura sportiva «gli atti sono stati comunicati, ma non trasmessi».
Le dichiarazioni del presidente, agli arresti domiciliari, che in maniera sostanziale confermano l’impianto accusatorio emerso dalle indagini della polizia di Stato e della Digos della Questura, permetteranno alla Procura di «completare le indagini, tenendo conto – dice Salvi, prossimo Procuratore generale di Roma – del contributo avuto da Pulvirenti». Le cui dichiarazioni, «rese nel corso di un lungo interrogatorio», sottolinea il magistrato, sono «coperte da segreto istruttorio».
La posizione di Pulvirenti è precisata dai suoi legali, il professore Giovanni Grasso e l’avvocato Fabio Lattanzi, sostenendo di «avere dimostrato al Gip la assoluta estraneità al fenomeno del calcioscommesse» del loro assistito. L’ex presidente, che ha lasciato tutte le cariche sociali, «ha ammesso di avere avuto contatti con altri soggetti per condizionare il risultato di alcuni incontri», ma lo ha fatto esclusivamente, sostiene, per «salvare dalla retrocessione il Catania». Pulvirenti ha manifestato però la convinzione di essere stato a sua volta truffato: nonostante abbia pagato 100mila euro a gara, per cinque partite, come ha confermato alla Procura, che lo ha reso noto, i suoi «contatti non avrebbero avuto alcuna reale incidenza sull’esito degli incontri». Quindi non avrebbe avuto rapporti diretti con giocatori o società, ma soltanto con intermediari che lo avrebbero “imbrogliato”.
E mentre l’imprenditore Giovanni Luca Impellizzeri, titolare di agenzie di scommesse, si avvale della facoltà di non rispondere, come altri quattro indagati agli arresti domiciliari, l’amministratore delegato del Catania, Pablo Cosentino, come il suo ex presidente, ha risposto alle domande del Gip negando ogni addebito. Anzi, rivela il suo legale, l’avvocato Carmelo Peluso, quando «il giudice gli ha chiesto che opinione si è fatto dell’accaduto, lui ha risposto: «Se è vero quello che c’è scritto qui è una follia, se Pulvirenti l’ha fatto ha commesso una follia». Cosentino, spiega il penalista, ha definito il suo ruolo «incompatibile con quello che sarebbe accaduto». E prova a spiegarlo così al Gip: «Dovevo vincere il campionato, ho speso tanti soldi nel mercato di gennaio, corrompere per vincere le partite sarebbe stato un fallimento». L’Ad ha rotto il suo “cordone ombelicale” col Catania: lui si è già dimesso e domani scade il suo contratto. Adesso ha soltanto un obiettivo: tornare a casa senza macchie.
Nell’inchiesta non entra Claudio Lotito: l’avvocato Peluso, a chi gli chiede conto del presidente della Lazio, risponde: «Non era nell’ordinanza, non è stato oggetto di valutazione da parte dei giudici».
Intanto la città sembra volere voltare pagina: dopo i tremila scesi in corteo due giorni fa per contestare Pulvirenti e la società oggi davanti al Palazzo di giustizia di Catania, davanti a un nutrito cordone di sicurezza di polizia di Stato e carabinieri, pochissimi tifosi. Un segno di distacco di chi vuole dimenticare, ma non per questo non sostenere una fede, quella rossazzurra.