La Sicilia che rimpingua il medagliere dell’Italia nel mentre che nell’Isola l’impiantistica sportiva resta improbabile. La Sicilia che viene scelta dal management di Google come sede dell’annuale convention per l’unicità al mondo di un posto come la Valle dei Templi nel mentre che i rifiuti fanno da sfondo alle “cartoline” scattate da turisti indignati. I talenti e la Grande Bellezza, l’arretratezza e la disamministrazione. Sono le contraddizioni di una terra contraddittoria nel Dna, la nostra, bella e dannata, premiata da Dio e dalla Storia ma incapace di sfruttare le proprie ricchezze naturali e umane, se non a macchia di leopardo: per un’eccellenza o una casualità periodica (un’Olimpiade, un campionato mondiale), per un’orgogliosa nicchia produttiva (oggi l’enogastronomia) o per le scelte altrui (il Google Camp).
Abbiamo campioni ma non attrezzature, abbiamo il mare ma non i depuratori. E i talenti che si allenano altrove – perché a certi livelli un altrove è necessario, ma anche perché qui le palestre mancano – in fondo si specchiano con gli scarichi che sversano nelle acque di una riserva naturale.
Di fronte a certi scenari le domande sono per forza retoriche: ma quanto siamo folli noi siciliani ad avere costruito, per esempio, attorno alla Valle dei Templi non una città giardino ma un confuso agglomerato urbano dove fino alla prima guerra del Golfo l’acqua arrivava con turni peggiori che nella Baghdad bombardata? Quanto siamo dissennati noi siciliani nel non rendere pienamente fruibili i siti archeologici? Quanto non meritiamo noi siciliani certe spiagge caraibiche se poi le derubrichiamo a villaggi di seconde e terze case? Quanto siamo schizofrenici noi siciliani nel chiedere ai nostri figli prima di scegliere la formazione accademica e dopo offrirgli lavoro dequalificato e sottopagato?
Poi, certo, vinciamo alle Olimpiadi, perché siamo bravi, naturaliter. Ma la medaglia più ambita, quella della normalità, non riusciamo neanche a sfiorarla.