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Taormina, spettatori da tutto il mondo per Eddie Vedder: e lui li conduce nei territori del rock

Di Giuseppe Attardi |

TAORMINA – Tutti in piedi ieri sera gli oltre 4.500 spettatori del Teatro Antico quando Eddie Vedder è salito sul palco per il primo dei due concerti di Taormina. Spettatori provenienti da ogni parte del mondo, tant’è che a un certo punto del concerto Vedder comincia a fare l’appello per nazionalità e rispondono tutti: islandesi, argentini, sudafricani, croati… C’è gente perfino dalle Hawaii. Il pubblico lo riceve con una standing ovation, accoglie con gridolini di approvazione ogni canzone, si scatena appena il proprio idolo offre loro l’occasione come in “Better man”.

 

L’ex commesso e guardia notturna che riuscì a diventare una delle leggende del grunge, come pochissimi altri artisti – Bruce Springsteen, per dirne uno – occupa un posto particolare nel cuore dei fan, che non lo amano solo per la musica che fa, ma anche – e forse di più – per la persona che è. O, meglio, che è diventata, grazie soprattutto a quello che ha fatto e detto nel corso degli anni dentro e fuori il palco, e in quella vasta zona grigia che separa i riflettori dalla vita di tutti i giorni. Eddie Vedder scruta l’America, scava nei mali del Grande Paese, tratta temi come i senzatetto, le armi e l’ambiente.

Lui, “zio Eddie”, come lo chiamano i fans, canta, parla, scherza e mesce Barbera, per sé e per il pubblico. Scende tra la gente cantando “Jeremy”, stringe mani, chiama un bimbo sul palco. Trasforma più di due ore di concerto in un incontro tra amici attorno a una chitarra e a trenta canzoni. Li conduce negli sconfinati territori del rock. “Percorrerò la lunga strada / Non c’è bisogno di dire addio / Tutti gli amici e la famiglia / tutti i ricordi girano intorno / L’ho desiderato così a lungo / Quanto ti ho desiderato oggi” canta in “Long Road” la canzone che apre l’esibizione, gioiello tratto dalla colonna sonora di “Dead Man Walking”.

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Il “sopravvissuto del grunge” comincia il suo cammino nella storia del rock e s’imbatte subito negli U2 di “Bad”. Più avanti omaggerà i Rem con “It happened today”, gli Who di “The Kids Are Allright”, suonerà “Isn’t It a Pity” di George Harrison alla pianola a pedali, accennerà “Heroes” di David Bowie, citerà la Victoria Williams di “Crazy Mary” e gli Everly Brothers in “Sleepless nights”, cantata a microfoni spenti in duetto con l’irlandese Glen Hansard, per chiudere con una trascinante versione di “All Along the Watchtower” di Bob Dylan e la chitarra a mulinello, nello stile di Pete Townshend degli Who, nell’elettrizzante finale di “Hard Sun” con tutta la famiglia sul palco.

Sono alcuni dei suoi modelli, che lo hanno fatto crescere e diventare il frontman dei Pearl Jam, una delle più importanti rock band americane uscite dai furori di Seattle nell’era del grunge ad aver conquistato un consenso intercontinentale. Ma Eddie Vedder è anche il musicista acustico, intimo, lirico e intenso di “Into the wild” e dell’originalissimo “Ukulele Songs”. E poi c’è l’alchimia tra la sua voce baritonale e un rock chitarristico in bilico tra passato e presente. La sua voce comunica emozioni sincere, commozione, rabbia, forza e debolezza, è capace di esaltarsi nei momenti più rock e di toccare dolenti corde emotive nelle lente e struggenti ballate.

Tante le sue perle, da quelle scritte per la band, “Wishlist”, “I Am Mine”, “Driftin'”, “Porch”, “Just Breathe”, “Lukin”, a quelle da solista. Da “Into the wild” prende “Setting Forth”, “No Ceiling”, “Far Behind”, “Rise” e la stupenda “Guaranteed”, canzone di rara bellezza ed intensità che ha vinto un Golden Globe Award nel 2008. Dal disco “Ukulele songs” estrae “Can’t keep” e “Without You”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA