ROMA – «Scusa Ameri…». Bastano due parole per evocare un’epoca lunga 60 anni e ancora giovane. Come fosse un “ItaliaGermaniaquattroatre” o un “campioni del mondo” ripetuto tre volte a Spagna ’82, quel richiamo in cuffia dei radiocronisti sparsi per le province di tutta Italia risuona nell’epopea del nostro calcio, quando era racconto e non ancora immagine. “Tutto il calcio minuto per minuto” nasceva il 10 gennaio del 1960, e oltre a quella della radio ha fatto anche la storia d’Italia. Anche per questo la Rai ne festeggia il compleanno tondo – senza alcuna voglia di andare in pensione – con una serata di diretta radio dalle 21, venerdì dallo storico studio di via Asiago a Roma.
Non c’erano posticipi, anticipi, pay tv, dirette social, e se voleva vedere “riflessi” della partita principale l’italiano doveva aspettare le 18, sperando che tutti gli altri tifosi informati da una radiolina incollata all’orecchio non gli sciupassero il gusto di quel secondo tempo in differita. “Tutto il calcio”, la definizione di Candido Cannavò, era la colonna sonora delle domeniche degli italiani. Le sue voci da principio davano conto solo della ripresa: non esistevano diritti tv, la Figc temeva che gli ascolti radiofonici sottraessero spettatori agli stadi. E a ragione, visto che le rivelazioni telefoniche testimoniarono gli ascolti record tra i 20 e i 25 milioni, per un campionato che si giocava tutto di domenica, tutto in contemporanea.
L’idea, Guglielmo Moretti l’aveva “rubata” alla Francia, dove il rugby la faceva da padrone e la radio nazionale ne dava conto con una diretta sparsa per tutte le campagne d’oltralpe. Con Sergio Zavoli – inventore di altre trasmissioni simbolo di quella Rai, come il Processo alla Tappa – e Roberto Bortoluzzi, Moretti fece partire tra lo scetticismo la prima puntata appunto a inizio del 1960: a Milano Nicolò Carosio per Milan-Juve, a Bologna Enrico Ameri per Bologna-Napoli, ad Alessandria Andrea Boscione per Alessandria-Padova e nello studio centrale di corso Sempione a Milano Bortoluzzi, che condusse il programma per 27 anni, passando il testimone prima a Massimo De Luca, poi ad Alfredo Provenzali e infine a Filippo Corsini, con le prime voci di Scaramozzino e Repice. A metà anni ’80, l’intuizione di Mario Giobbe e l’estensione della diretta a tutta la partita: da RadioUno, “Tutto il calcio” passò a reti unificate quasi fosse un messaggio alla nazione, con la sua sigla indimenticabile (“A taste of Honey” degli americani Scott e Marlow, per la tromba di Herb Alpert).
«Quelle voci mi avevano fatto innamorare del calcio a 8 anni, come tanti italiani», racconta Riccardo Cucchi, epigono dei maestri della prima ora, Ameri e Ciotti. «Poi ho avuto la fortuna di entrare nella redazione dove lavoravano ancora quei maestri, due radiocronisti agli antipodi…». Del primo, Cucchi ricorda gli arrivi allo stadio 4 ore prima, la meticolosità, l’attesa del fischio d’inizio giocando a scopa col titolare del bar di San Siro; di Ciotti, gli arrivi all’ultimo, l’estro inventivo, la voce rauca «trasformata da handicap radiofonico a cifra stilistica» e il linguaggio ricercatissimo. «Nessuno di noi oggi si sognerebbe di dire “fallo proditorio” o “ventilazione inapprezzabile”».
Ma i sessanta anni di storia della trasmissione radiofonica più nazionalpopolare sono intessuti di episodi, dal “clamoroso al Cibali” che interruppe altri racconti per un gol alla grande Inter di Herrera alla B raccontata da Ezio Luzi. «Di quel racconto del calcio oggi, più di altro, credo manchi l’educazione – conclude Cucchi – Intendo il rispetto di chi ascolta, dei calciatori o del direttore di gara. Ricordo una radiocronaca di Ciotti per un Roma-Samp in cui l’arbitro Lo Bello aveva combinato disastri. Lui non ne fece alcun cenno, ma chiuse dicendo: “Ha arbitrato il signor Concetto Lo Bello di fronte a 60 mila testimoni…”».