Il festival
Sanremo, tutti in piedi per Falcone e Borsellino
Un lungo applauso per l'omaggio di Saviano alle vittime delle stragi di mafia. "Ricordare vuol dire rimettere nel cuore, rimetterli in vita sentendoli battere in noi»
Per tutti quelli che non c'erano, non erano nati, non avevano l'età per ricordare. Per quelli che lo dimenticano, mentre il tempo passa e passa. Per tutti quelli che quel giorno c'erano, quando saltò l'autostrada, quando esplose una strada, in un pomeriggio di una domenica in famiglia, a Palermo. Quelli che allora provarono dolore e sgomento, l'impotenza, l'incapacità di capire la violenza di questa terra, e poi sempre più rabbia. Quella rabbia che forse non aveva mai trovato il coraggio di manifestarsi e che ora esplodeva e fece scendere i palermitani per strada, con i lenzuoli bianchi a gridare basta alla mafia. Perché c'è voluto quell'orrore, quella strada sventrata, quel palazzo dilaniato, quei corpi dilaniati, per fare uscire la società civile allo scoperto e dire no a Cosa nostra.
Per ricordare a tutti, al grande pubblico di Sanremo, l'anniversario dei 30 anni delle stragi. Tutti in piedi al teatro Ariston per le vittime delle stragi di Capaci e Via d’Amelio. Mentre Amadeus elenca i loro nomi sul palco, a partire da quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il pubblico si alza in piedi ad applaudire l’ingresso di Roberto Saviano, ospite del Festival per commemorare le vittime di mafia con un intervento sobrio e commovente, diretto e non retorico.
«Vogliamo ricordare – dice – ma ricordare non è un atto passivo, viene da 're-cordari', rimettere nel cuore, non vuol dire provare nostalgia per Falcone e Borsellino, ma rimetterli in vita sentendoli battere in noi». «Molti di noi – dice lo scrittore – ancora non c'erano, eppure la loro storia è parte della nostra memoria collettiva, per tutti noi sono simboli di coraggio, che è sempre una scelta, di fronte alla necessità di cambiare le cose si può scegliere o lasciar perdere, ma non scegliere è rendersi complice». La loro storia «è la storia di chi sceglie pur sapendo di rischiare», sottolinea ancora Saviano, citando gli esempi di Chinnici, Terranova, Saetta, Costa, Giacomelli, Livatino, «uomini e donne di giustizia finiti sotto i colpi delle mafie».
Falcone e Borsellino oggi «celebrati come eroi», subirono la delegittimazione, «furono accusati di spettacolarizzare il loro lavoro, di Falcone si arrivò a dire che la borsa con 58 candelotti all’Addaura se l’era messo da solo: non c'erano i social ma c'erano gli haters», ricorda lo scrittore, e quel fango «li aveva isolati e resi facili obiettivi, ma non è riuscito a sporcare il loro esempio». "Ogni volta che la società civile e la politica non si occupano di mafia creano un silenzio che finisce per favorire le mafie e ostacolare chi le contrasta".
Ricorda poi la storia di Rita Atria, che a 17 anni divenne la prima testimone di giustizia d’Italia grazie all’aiuto di Paolo Borsellino e che si tolse la vita dopo la morte del giudice, ma "la sua testimonianza portò alla condanna di molti mafiosi. Il coraggio dei testimoni di giustizia è di chi sa che cambierà la propria vita e di quelli accanto a sé».
"Durante il Festival 1992 davanti alla Tv c'era una ragazza di 17 anni, Rita Atria, lo guardava da una casa a Roma di cui nemmeno la madre conosceva l’indirizzo. Rita aveva compiuto una scelta diversa da quella del fratello che voleva vendicare la morte del padre mafioso con gli stessi metodi. Rita aveva deciso di denunciare quello che sapeva, era diventata la più giovane testimone di giustizia. Con lei c'era la cognata Pina Aiello. Per la prima volta Rita si era sentita libera, felice di essersi liberata del suo passato e ansiosa di costruire il suo futuro. 7 giorni dopo la morte di Borsellino si tolse la vita", ha raccontato.
«La neutralità – punta il dito Saviano – non ci tiene in sicurezza, ci costringe a rinunciare alla libertà, alla dignità, al diritto di ricercare la felicità. Il silenzio favorisce le mafie e lascia solo chi le contrasta», ma Falcone e Borsellino e Rita Atria «sono semi che sono germogliati, semi che possono diventare radici». Il monologo dello scrittore – che dal 12 febbraio condurrà su Rai3 Insider – si chiude con un brano di un tema di Rita Atria: «Se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo».
L'intervento di Saviano è il momento più intenso della terza serata che ha visto protagonisti Cesare Cremonini per la prima volta a Sanremo, accolto con grande calore, ma soprattutto i 25 big che hanno riproposto le loro canzoni – lunghi applausi per Elisa, Mahmood e Blanco, L rappresentanza di Lista – nella lunghissima diretta. L'apertura con un saluto e un ringraziamento al presidente Mattarella sulle note di "Grande grande grande".
Elegantissima e ironica Drusilla Foer, a suo agio sul palcoscenico, si conferma un grande personaggio, tra le sorprese del festival. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA