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“Never solo”, un cortometraggio con le voci di chi viaggia da solo

Vittorio Montauro, filmmaker catanese, è autore di “Never solo” un "corto" in cui ha raccolto le testimonianze di viaggiatori solitari come lui per scoprire che siamo tutti interconnessi

Di Carmen Greco |

«Viaggiare da soli vuol dire necessariamente essere soli?». Attorno a questa domanda ruota il cortometraggio di Vittorio Montauro, 31 anni, catanese, ingegnere edile di professione e filmmaker per passione che in “Never Solo” ha raccolto in 18 minuti le testimonianze di viaggiatori solitari in giro per il mondo, in particolare, una fetta di Sud est asiatico.Un lavoro vissuto in prima persona da Montauro che attraverso le parole dei viaggiatori incontrati in Thailandia, Cambogia, Vietnam, ha raccontato la sua “necessità” di viaggiare in solitaria.

«Durante l’università ho fatto l’Erasmus in Olanda e pensavo, una volta laureato, di voler vivere fuori. Ho iniziato a mandare curriculum ovunque soprattutto nel Nord Europa, ma con riscontri molto deludenti. Ho avuto un primo lavoro in uno studio di architettura a Catania ma sono andato via dopo meno di un anno, poi ho provato a Milano, ma era la solita storia, lavoro a partita Iva, pagamenti ufficiali diversi dalla realtà, finché un mio collega di università non mi ha segnalato una posizione aperta in uno studio di progettazione catanese e lì ho trovato un lavoro vero in un ambiente molto positivo».

Nel villaggio di Kampong Phluk, in Cambogia

Però la passione per la fotografia covava sempre sotto la cenere…«Sì sono riuscito a riprendere in mano una macchina fotografica nel settembre 2021, il covid aveva bloccato tutto e mi sono dedicato al montaggio del corto con il materiale del viaggio che ho fatto a cavallo fra 2019 e 2020».È nato prima il viaggio o l’idea del corto?«Sono partito già con l’idea di fare un viaggio documentaristico e mi sono accorto, facendo delle ricerche su internet, che la condizione del viaggio in solitaria non era stata mai raccontata se non in positivo. Voglio dire che raramente emergeva ciò che c’è anche di difficoltoso, dietro al viaggiare da soli, così ho deciso che questo aspetto andava esplorato».E l’input per l’itinerario da dov’è partito?«Dal “Festival delle lanterne” Yi Peng che si svolge a Chiang Mai, nel nord della Thailandia durante il plenilunio di novembre. Sui social avevo visto le immagini affascinanti di centinaia di lanterne che volavano in cielo e ho deciso che sarei partito da lì. Sapevo che il festival s’iniziava l’11 novembre ed entro quella data mi sono laureato. Dall’11 novembre 2019 ai primi di gennaio 2020 ho girato fra Thailandia, Vietnam, Cambogia, raccogliendo le interviste di altri viaggiatori solitari come me. La domanda a cui volevo rispondere era: si è veramente soli quando si viaggia da soli?».

Come hai incontrato e scelto i viaggiatori solitari protagonisti del docufilm?«In Thailandia ho conosciuto sui social una ragazza londinese in viaggio anche lei ed è stata la prima, diciamo così, della lista, ma le persone che ho intervistato le ho incontrate spesso per caso, in un ostello, per strada, in aereo… Ho scelto i viaggiatori per istinto».La prima difficoltà che hai incontrato nel viaggiare da solo?«Comunicare. L’inglese non è proprio comune, soprattutto in Vietnam. Ho passato tre giorni nel Nord del Vietnam con un ragazzo-guida che mi ha portato in giro con il motorino nella zona rurale al confine con la Cina. Comunicavamo a gesti o con google translate. Mi ha portato nella capanna dove abita con la sua famiglia. Ero l’unico occidentale, gli abitanti mi guardavano come un alieno, è stata un’esperienza veramente autentica».Con quali mezzi hai girato le immagini e quali difficoltà logistiche hai incontrato?«Sono partito leggero anche se il peso di corpo macchina, obiettivo, treppiedi e stabilizzatore si sentiva tutto. La difficoltà spesso era ricaricare le batterie, non era sempre possibile. Avevo con me un piccolo hub che mi permetteva di trasferire subito le immagini, ma dovevo programmare anche il suo utilizzo».

Una donna Moken, nelle Surin islands in Thailandia

Quando si parte da soli e con l’idea di girare un cortometraggio non c’è il rischio di guardare tutto troppo dall’obiettivo e non godersi il momento?«Sì, ma io l’ho fatto perché volevo portare a casa quello che realmente sentivo durante il viaggio, quindi anche se avevo l’occhio dietro un obiettivo, in realtà questo mi è servito paradossalmente a concentrarmi di più su quello che vivevo in quel momento e che avrei ricordato per sempre. Il cortometraggio l’ho fatto sì per gli altri, ma anche per me. Riascoltando le parole dei viaggiatori che ho incontrato, mi è capitato spesso di riconoscermi nelle loro esperienze. È come se avessi raccontato di me attraverso loro».

“Never Solo” è stato proiettato a Catania nel corso della terza “puntata” di Shorts, l’esposizione dedicata al mondo del cinema prodotto in Sicilia, ma il futuro del tuo corto quale sarà?«Never Solo è stato candidato in sei festival a Parigi, Madrid, Bruxelles, Madrid, Portogallo, e un festival on line il “lift-off” che gira sul web all’interno della categoria new voices. La mia idea sarebbe dare un seguito a tutto ciò, considero Never Solo un episodio “pilota”. Vorrei realizzare altri 10 episodi in base ai luoghi e ottimizzare le spese con un solo viaggio, per esempio tre episodi fra India Himalaya e Maldive. Ho presentato il progetto a diversi enti, a partire dalla Rai, incrociamo le dita».

La locandina del corto “Never Solo”

Hai visitato zone rurali molto povere, con quale tipo di società ti sei confrontato?«Mi è rimasto impresso un villaggio un villaggio della Cambogia, Kampong Phluk, un villaggio di palafitte con i bambini che scorrazzavano felici su campi di terra spoglia e sguazzavano in fiumi sporchi. Entrare in contatto con questo mondo essenziale in cui nemmeno i vestiti che indossavano erano i loro – si vedeva che erano indumenti “regalati” come le maglie dei calciatori del Barcellona o della Juve – e vedere, nonostante tutto, la serenità nei loro occhi ti fa riflettere».Alla fine ti sei risposto alla domanda? Viaggiare da soli significa essere soli?«Ho capito non esiste viaggiare da soli, semmai esiste la “mai solitudine”. È una questione di sopravvivenza, siamo animali sociali, siamo tutti interconnessi, c’è sempre un momento in cui ti “interfacci” con qualcuno. Questa connessione io l’ho vissuta, non mi sono sentito mai solo anche se, al tempo stesso, sapevo di esserlo perché le amicizie che instauri in un viaggio di questo genere sono “amicizie lampo”. Però, paradossalmente, mi sono sentito solo nelle grandi città, Hanoi o Ho Chi Minh, megalopoli piene di gente, con una confusione pazzesca, città mangiate vive dalla globalizzazione. Ecco, lì davvero mi sono sentito solo».

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