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La sicilia secondo me
Matteo Garrone: «“Io capitano” esiste e allora aveva 15 anni»
La storia. Il film ispirato alla frase di un ragazzo che era riuscito ad approdare nella “terra dei sogni” dalla lontana Guinea
Il film di Matteo Garrone in corsa per l’Oscar è in qualche modo nato in Sicilia. Nel senso che in Sicilia viene al regista l’idea di fare “Io, capitano” raccontando il viaggio dei migranti. L’autore napoletano sensibile alle problematiche del nostro tempo soprattutto sul piano umano, aveva da anni quest’intenzione. E’ stato durante un viaggio in Sicilia che ha visitato una cooperativa che si occupa di assistenza ai minori, inclusi i migranti minorenni non accompagnati. La visita è stata determinante. Da lì è venuta fuori proprio una delle storie che intrecciandosi ad altre, tutte vere, ha costituito la base del soggetto e della sceneggiatura di “Io, capitano”. E tutto questo è cominciato a Catania.
Il ragazzo della Guinea
Il ragazzo della Guinea che rivolgendosi alle motovedette italiane che andavano incontro al barcone disse orgogliosamente di essere il capitano esiste. Allora aveva 15 anni. E’ stato uno degli ospiti della cooperativa “Prospettiva” di Catania, si chiama Fofana, oggi sta vicino Liegi dove lavora ed ha messo su famiglia diventando padre.«In visita alla cooperativa, Glauco La Martina che ne è il direttore mi ha fatto conoscere Fofana e la sua storia – dice Garrone – uno di quei ragazzi bollati come scafisti. A Fofana che si trova ora in Belgio non è stato possibile venire in Italia in questi giorni per vedere il film perché non è ancora apposto coi permessi ma l’ho incontrato nei giorni scorsi proprio in Belgio dove abbiamo fatto delle proiezioni».
La Sicilia è un miraggio
La Sicilia nel film non si vede. E’ un miraggio semmai, un sogno di salvezza, la terra all’orizzonte la cui apparizione significa “ce l’abbiamo fatta”. Del resto il film è anche onirico. Finisce lasciando in sospeso sull’esito del viaggio. Nel caso del piccolo capitano e dei suoi compagni di traversata, se indaghiamo i fatti reali che hanno ispirato il film, andò bene. Ma sappiamo quanti di questi viaggi finiscono male. Matteo Garrone, muovendosi tra il sociale (“Gomorra” il film, “Dogman” la storia del canaro della periferia romana) e le favole (“Pinocchio”, “Il racconto dei racconti”) fonde qui i due filoni. «L’altro personaggio che mi ha ispirato è Mamadou che rappresenta la storia dei due cugini partiti dal Senegal. La visita alla cooperativa gestita da Glauco La Martina a Catania è stata determinante perché da lì mi è venuta l’idea – pur avendo raccolto altre storie in altri centri – di come fare il film».
L’Africa di fronte a noi
Perché è venuto in Sicilia a raccogliere storie? «Molto semplice. L’ Africa è qui di fronte a noi, non possiamo ignorarla. La Sicilia è la terra degli sbarchi. Il 70 per cento della popolazione africana è costituita da giovani. Molti partono per inseguire un sogno non solo per fame, guerre e cambiamenti climatici. Come molti altri giovani, hanno il desiderio di conoscere il mondo ma a loro viene preclusa questa possibilità dal fatto che devono rischiare la vita. Questo è il tema di fondo del film che affronta il viaggio, tutto quel quotidiano che c’è dentro la voglia di partire. Quando Mamadou che è ivoriano è tornato al suo Paese e ha sconsigliato ai giovani di fare questo viaggio, loro non ci hanno creduto, pensando che fosse spinto a parlare così dal fatto che noi qui non li vogliamo. All’inizio fanno degli incontri in cui vengono esposti i rischi che corrono, che qui, a partire dalla Sicilia, non sono rose e fiori, ma gli altri pensano che siano cose esagerate. Sono racconti di ragazzi che hanno vissuto quell’esperienza. Mamadou da reduce li ha messi in guardia ma loro hanno pensato che volesse solo dissuaderli. C’è chi riesce ad arrivare e si fa vedere nelle foto sui social davanti a macchine o moto belle, a negozi di lusso. Ma sono foto non veritiere. Molti di loro vanno a dormire sotto i ponti. Ho raccontato un viaggio epico e avventuroso dal punto di vista di questi giovani, un controcampo».
Prima delle riprese
Il “loro” punto di vista ancor prima delle riprese, è nel concepimento del film. Inventato il racconto ma gli elementi presi dalla realtà. Glauco La Martina direttore della cooperativa Prospettive con numerosi collaboratori e assistiti, era presente l’altra sera al cinema E Planet Ariston di Catania dove il regista ha introdotto la proiezione chiamandoli a parlare.«Matteo è molto affabile, si parla con lui in maniera diretta si è creato clima di grande partecipazione» dice. L’arrivo in sala del film è stato per molti dei ragazzi assistiti da questa e altre cooperative l’occasione per andare per la prima volta al cinema. Grazie a “Io, capitano”, dice ancora La Martina, «si può discutere di immigrazione in maniera diversa rispetto agli stereotipi: la tragedia, il barcone, quanti morti».Glauco La Martina ha cominciato a collaborare con Garrone nel 2018 quando, come ci racconta, «Matteo viene nel nostro centro, passa una domenica coi ragazzi, ascolta le loro storie, sente la storia di Fofana e decide di fare il film. Successivamente ci manda una telecamera per far raccontare ai ragazzi in maniera del tutto libera il loro viaggio. Ricevono un gettone di presenza, cosa che li ha motivati, e si raccolgono centinaia di storie di viaggio».
Le tre storie
Così il film è l’insieme di tre storie diverse. Una è quella di Fofana Amara (il vero capitano), un’altra è quella di Mamadou (i due cugini che partono assieme), un’altra è quella del muratore incontrato in un centro di Caserta. Da queste tre storie un’unica storia.Il ragazzo gridò con orgoglio “Io, capitano” perché era felice di avercela fatta ma venne presa questa sua esclamazione come confessione di essere scafista (nel film si vede che è obbligato dai libici a condurre la barca perché non ha soldi per pagare il viaggio). «La polizia si sentì sfidata e portò Fofana a Siracusa in un carcere per adulti salvo accorgersi dopo che il ragazzo era minorenne. Scarcerato e affidato al tribunale dei minori, in realtà fu lasciato per strada. Un venditore ambulante africano ad Augusta gli diede l’indirizzo della comunità senegalese di Catania che lo mandò da noi» dice Glauco. Così Fofana è stato accolto e inserito nel percorso educativo.