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Luce, ribellarsi e uscire dall’ombra dei poteri
A Locarno in gara il film di Luzi e Bellino con Marianna Fontana
LOCARNO, 09 AGO – Vent’anni consumati dalla necessità di saltare le tappe in fretta, vivendo nella casa di famiglia da sola (con la gatta), e lavorando in una fabbrica pelli, fra ritmi indistinti e alienanti. Poi un piano folle che riesce, diventa la molla che porta la protagonista (una straordinaria Marianna Fontana, che si è preparata al ruolo lavorando realmente in fabbrica per mesi) a uscire dall’ombra: un personale bisogno di ribellione contro più di un potere. E’ il percorso profondo tracciato da Luce di Silvia Luzi e Luca Bellino, il primo dei due film italiani in concorso alla 77/a edizione del locarno Film Festival. I due autori, a sette anni dalla loro pluripremiata opera prima Il Cratere (sulla voglia di rivalsa di un padre che vede la possibile svolta nel talento canoro della figlia), che aveva esordito a Venezia in gara nella Settimana della Critica tornano al loro cinema di fiction intessuto di vita reale (è una produzione di Bokeh Film e Stemal Entertainment con Rai Cinema), utilizzando un cast in grandissima parte di non professionisti, sviluppando la sceneggiatura con un lungo lavoro di preparazione, fra le persone e nei luoghi dove la storia è ambientata. Come per Il Cratere siamo in Campania, stavolta, in una zona montagnosa e industriale, intesa come riflesso di un sud esteso . Torna al centro anche la figura paterna: “In Il cratere quel padre lo vedevamo e la protagonista sentiva la necessità di provare a fuggire – spiega all’ANSA Luca Bellino -. Qui è un’ossessione molto più intima, un bisogno che forse non riguarda soltanto la figura paterna, ma tutti i rapporti di potere, cioè il bisogno di essere riconosciuti in qualche modo, in quel passaggio che si vive da ragazza a donna”. La protagonista ( di cui non conosciamo il nome, gli altri le si rivolgono utilizzando spesso vezzeggiativi, come Picciré) “rinasce” quando grazie all’aiuto di un fotografo di cerimonie, entra in contatto (non sveliamo come) attraverso un cellulare con una voce, forse quella del padre (Tommaso Ragno), oltre le mura di un carcere. “E’ una relazione che vive molto nella testa della ragazza, è una sua costruzione e viene dal suo tumulto interiore – aggiunge Silvia Luzi – . Si affronta nella storia “il bisogno di rivolta di fronte a diversi poteri, tra quali anche quello dell’immagine” .