Registrato durante il concerto al Teatro Antico di Taormina il 27 agosto scorso, il disco è nato esattamente come tante altre cose in Italia, a sua insaputa. «Due giorni prima del concerto di Taormina – racconta De Gregori – parlando con il mio bassista mi ero rammaricato del fatto che il tour fosse ormai alla fine e noi non avevamo nulla di registrato. Così ha registrato la data di Taormina, a mia insaputa. Come Scajola».
Un disco nato dunque quasi per caso, con un titolo Sotto il vulcano reso in prestito da un libro di Malcom Lowry. «Il fatto che richiamasse il titolo di un libro più che altro era un vezzo – confessa il cantautore – E poi nel contesto storico in cui viviamo, stare sotto il vulcano significa sentirci costantemente sotto qualcosa che sta per eruttare».
Nel disco ha voluto inserire 4 marzo 1943, indimenticabile canzone di Lucio Dalla. «L’omaggio a Lucio è nato un giorno mentre ero ai piedi dell’Etna e mi sono ricordato di quando ero stato a casa sua – racconta – Ho avuto una sensazione di gioia, non di dolore, era una bella giornata, avevo una grande band, ero in Sicilia, ho pensato a Lucio che la cantava da giovane al Festival di Sanremo e mi sono detto perché non la facciamo? Quando è partito il ritornello al concerto di Taormina la gente è impazzita, certo se il brano non fosse stato un capolavoro non sarebbe successo nulla».
Il connubio con Dalla, nato a tempi del successo di Banana Republic, è stato quasi un’unione di anime che De Gregori fa ancora fatica a commentare. «Non ho voluto parlare di Lucio quando è morto perché non mi volevo unire a un dolore così pubblico – confessa – Non sono fatto così. Sono grato per le cose che ho imparato da lui senza che me le insegnasse, è stato uno scambio reciproco, anche se era un musicista vero, guardava quello che facevo io».
Nel doppio live ci sono brani storici come Titanic, Rimmel, La donna cannone e Fiorellino. «Buonanotte Fiorellino è un brano sempre divertente a suonare – aggiunge De Gregori – Quando attacchi vedi subito il pubblico agitarsi scompostamente. E poi ora sono finalmente arrivato a un punto della mia carriera in cui posso stravolgere le mie canzoni senza che nessuno si arrabbi più».
Ama parlare di musica, molto meno di politica. Se qualcuno pronuncia il nome di Donald Trump, l’artista replica secco: «Si dice Trump, con la “u”, io lo chiamo così». Ma più di questo non vuole aggiungere. «La parola Trump va accuratamente rimossa da questa conversazione – sottolinea – Non ne parlo semplicemente perché tutti hanno qualcosa da dire sull’argomento, io francamente no». Così come preferisce non pronunciarsi sul Festival di Sanremo, nonostante quest’anno nella serata delle cover ci saranno due brani suoi: Sempre e per sempre cantata da Fiorella Mannoia e La leva calcistica della classe ’68 da Fabrizio Moro. «Il Festival ha tanta pubblicità da sé che non serve che sia io a parlarne – sorride – Vorrei non pronunciarmi».
Non esita invece a confessare che fare un disco di inediti oggi significa inevitabilmente fare i conti con un passato di grandi successi. «Faccio meno dischi in studio perché è sempre più difficile trovare cose che non hai già detto – confessa De Gregori – Scatta un meccanismo di paura di non essere all’altezza di quello che sei stato, che genera una sorta di circospezione. Piuttosto che fare uscire canzoni che non ti piacciono, è meglio stare a casa». Quanto all’amore che ha per i dischi live, la spiegazione non è affatto legata al guadagno «come dicono tutti». «Non sono i soldi che mi portano a cantare sul palco – dice De Gregori – Lo faccio perché voglio far sentire a chi compra il disco quel che succede quando riprendo le mie canzoni e le canto davanti alle persone. In questo caso volevo regalare una “foto” di quello che è avvenuto a Taormina, in un luogo emozionante come il Teatro Greco».
A quei giovani artisti che oggi si ispirano a lui, De Gregori dice serenamente: «Io ne ho rubate tante, se qualcuno ruba a me sono felice. L’arte è un continuo prendere da altri. Sono fiero che chi comincia oggi abbia presente quello che ho fatto io in passato». E la mente corra dritta verso Bob Dylan, grande ispiratore di De Gregori. «Al suo posto io sarei andato di corsa a ritirare il Nobel – sorride – Per quanto mi riguarda la letteratura vuol dire comunicazione, non ci trovo nulla di irriverente che l’abbiano dato a lui».
Quanto al futuro ha un’idea ben precisa: «È dal 2010 che non mi fermo mai, quindi per il prossimo anno non vorrei occuparmi di nulla, solo fare una vacanza». Ma probabilmente la voglia di suonare tornerà presto, anche se per De Gregori le scadenze non sono mai esistite. «Sono sempre stato abituato a non avere committenti che mi pressano – spiega – Non ho mai dovuto rispondere a scadenze sulla consegna dei dischi, ma questo è un lusso che genera pigrizia. Quindi cerco io di darmi qualche scadenza, un qualcosa che mi obblighi: magari prendo uno studio di registrazione in affitto per un mese e giugno, pago prima la band e mi costringo a entrare e registrare».