Enrico Montesano è “Il Conte Tacchia”: «Catania è nei miei ricordi di bambino»

Di Simone Russo / 03 Marzo 2019

Catania  – La commedia musicale “Il Conte Tacchia”, scritta, diretta ed interpretata da Enrico Montesano, è pronta a conquistare il pubblico siciliano. Il Conte Tacchia, uno dei personaggi cinematografici di Enrico Montesano più celebri e apprezzati, sarà in scena martedì prossimo alle ore 21 sul palco del Teatro Metropolitan di Catania. La commedia musicale ripercorre in chiave comico-brillante alcune vicende ispirate al personaggio di Adriano Bennicelli, soprannominato il Conte Tacchia, realmente vissuto a Roma ai primi del Novecento. È una grande storia d’amore che si conclude nel 1944 e lo spettacolo inizia proprio con il boogie woogie. Commedia che arriva dopo quasi quarant’anni dall’omonimo film. «Manco da Catania da un po’ di tempo – dice Enrico Montesano -. A Catania, però, c’è una via Montesano e sono ben contento di ritornarci. Nella vostra città sono venuto con le commedie musicali di Garinei, quando c’era il cavaliere Mazza. Mi fa piacere venire e mi diverte. Quando ero bambino, Catania era una città della quale si parlava a casa. La sorella di mia nonna, la zia Nellì, aveva sposato un maestro di musica di Catania. E soprattutto Catania ha una grande tradizione teatrale. I miei nonni venivano per fare le operette e restavano diversi giorni. Ho un ricordo legato anche alla festa di Sant’Agata. Con la cera sull’asfalto, i copertoni stridevano».

Protagonista in teatro, tv, cinema e radio. Ma dove si sente più a casa?

«E’ come chiedere a un falegname se gli piace più realizzare una scala o un armadio. Io sono un falegname, mi piace fare tutto. La radio mi piace moltissimo. Mi piacerebbe rifarla, purtroppo si sono scordati che ne ho fatta tantissima. Il teatro è la mia casa».

Nell’attimo prima dell’apertura del sipario a cosa pensa?

«Speriamo che c’è qualcuno (ride, ndr). Mi auguro che gli spettatori stiano bene, rilassati e che si possano divertire. Questo è il compito dell’attore. Il teatro aiuta a vivere. Ci distrae dalle nostre ansie, dalla quotidianità»

Ma ci si abitua al palcoscenico?

«Quel minimo di friccicorio ci sta sempre. Fa bene. Ma poi si vince. Ci deve essere, fa parte del gioco».

Un gioco che la vede protagonista anche a fine spettacolo.

«Faccio il terzo tempo, come nel rugby. Incontro le persone e mi diverto. Un autografo, una foto ricordo. Mi sembra una cosa carina. Il pubblico del teatro è meraviglioso, merita ogni attenzione. Il teatro e i libri riescono a reggere l’urto di tutta questa dilagante superficialità quotidiana».

Un pubblico che la segue da 52 anni.

«Me so quasi rotto (ride, ndr). Mi voglio riposare. Ho cominciato nel 1966 con il mio primo cedolino al collocamento teatrale. Sono cinquant’anni di grande cambiamenti. Un cambiamento che ha visto lo sconvolgimento tecnologico. Siamo arrivati a mettere le protezione ai pali perché la gente cammina guardando il cellulare. Sembrano matti. Sempre più social e meno società. In questo il teatro è un baluardo. È una trincea di resistenza».

C’è ancora spazio per chi vuole diventare attore?

«Ci sono più offerte ma meno spazio. Quando ho cominciato c’era solo Rai1 in bianco e nero. C’era una selezione fortissima. Però questo dava una garanzia di maggiore qualità. Oggi ci sono tanti canali, non si fa in tempo a conoscere una persona. Anche quelli bravi non riescono a maturare».

Come vede la nostra Italia?

«L’Italia, nonostante tutto, ancora regge. Gli italiani un po’ meno. Non se ne rendono conto. La domanda corretta non è come sta l’Italia, ma come stanno gli italiani».

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Pubblicato da:
Redazione
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