L’adattamento drammaturgico in scena da martedì allo Stabile di Catania è tratto dal primo romanzo italiano in tema di rapporto tra psicanalista e paziente: “Il filo di mezzogiorno” della catanese Goliarda Sapienza la cui vicenda biografica e letteraria è molto particolare. Racconta le sue sedute di psicanalisi a seguito di depressione e di tentativo di suicidio. Partita dalla Sicilia, si sistema a Roma in pensioni di terza categoria, s’iscrive a corsi d'arte drammatica, è perseguitata dai fascisti, difficili il rapporto con la madre e quelli con l’altro sesso. La salva il regista Citto Maselli divenuto suo compagno. Il libro (Garzanti, 1969, ripubblicato da La nave di Teseo) – mentre “L’arte della gioia” (il capolavoro) esce postumo – arriva alla scena con la penna di Ippolita di Majo dopo che Donatella Finocchiaro sul set di “Capri Revolution” gliene propose la lettura. La drammaturgia è stata messa in scena da Mario Martone che non ha potuto non affidare alla Finocchiaro, catanese come la romanziera, il ruolo di protagonista.
Debutto all’India di Roma poi tournée a Napoli, Torino, Milano, sempre con grande successo di pubblico e di critica. Roberto De Francesco è lo psicoanalista Ignazio Majore. Produzione degli Stabili di Napoli, Catania, Torino, Roma. Scene di Carmine Guarino, costumi di Ortensia De Francesco, luci di Cesare Accetta. Le musiche del canto dei pescatori delle Isole Eolie sono di Mario Tronco. Il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università in collaborazione con lo Stabile ha organizzato il workshop “Volevo e voglio diventare un’attrice. Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza” per il 20 aprile ore 9, 30 nel Coro di notte del Monastero dei Benedettini, piazza Dante, 32.
«Nel 2011 – racconta Donatella Finocchiaro – Edoardo Morabito il papà di mia figlia, mi ha fatto leggere “L’arte della gioia”. Mi sono appassionata agli scritti della Sapienza. Sette anni dopo alla Di Majo e Martone ho chiesto che leggessero “Il filo di mezzogiorno”. Mario allora voleva fare un film su “L’Arte della gioia”. L’adattamento teatrale è straordinario perché c’è proprio l’attimo teatrale. Goliarda è proprio un’eroina del Novecento».
Quale l’approccio interpretativo?
«Da devota all’inizio, entrata in punta di piedi. Entrare nella follia di Goliarda, non solo nelle pagine della grande scrittrice del Novecento, è scommessa forte. Con Martone facciamo venir fuori un percorso meraviglioso che non è fatto solo di follia. Roberto è bravissimo e la regia mette al centro gli attori».
Ci sono riferimenti diretti a Catania?
«Certo. Presi anche da “Lettera aperta” libro sull’infanzia a San Berillo. Goliarda ce l’ho sulla pelle, anch’io vivo a San Berillo, il mio terrazzo si affaccia lì. Respiro quelle atmosfere. Goliarda fa parlare i capitelli, le sculture e anima i profumi del quartiere».
Donatella Finocchiaro ha appena finito di girare l’opera prima per il cinema di Moni Ovadia “La terra senza” ambientata nella città di Catanzaro, dal testo teatrale di Anna Vinci e “Greta e le favole vere” di Berardo Carboni con Raul Bova che uscirà a Natale ed è ispirato a Greta Thunberg e all’ecologia in tono di commedia.
Altro teatro?
«A luglio “La lupa” regia di Luca De Fusco nel centenario verghiano. Non vedo l’ora. Faremo qualche data d’estate, forse anche a Vizzini oltre che a Catania, e lo riprendiamo l’anno prossimo allo Stabile e al Biondo”. Il teatro si sta riprendendo dalla crisi per pandemia meglio del cinema. Cosa te ne sembra?
«Purtroppo la gente trova più facile vedere i film a casa. Per il teatro la dimensione è diversa. Bisogna andare. E il teatro resiste meglio».