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Bellini, la sua vita è come un film

A Taormina fino al 31 ottobre la mostra di poster cimeli e bozzetti delle pellicole sul Cigno curata da Ninni Panzera

Di Carmelita Celi |

Vincenzo Belli. Eccolo, il vero, impalpabile, fascinosissimo “enfant du Paradis”. E' un autentico divo cinematografico ante litteram, non solo del nostro commosso immaginario collettivo ma, qui ed ora, di “Dolente immagine. Bellini al cinema”, la mostra di materiali pubblicitari originali delle pellicole dedicate al Cigno curata da Ninni Panzera – cuore, anima e corpo di Taormina Arte, oggi presidente della Fondazione che, in collaborazione con “Bellininfest”, ne offre visione fino al 31 ottobre alla Casa del Cinema a Taormina. Da un canto, il richiamo languido e travolgente a un autografo belliniano – “Dolente immagine” è, infatti, un'aria funebre composta nei suoi anni napoletani e destinato a più d'una versione (voce e orchestra, voce e pianoforte) – dall 'altro, l'appeal non così segreto fatto di tragedia e mistero su quel ragazzo senza età.

Così lontano, così vicino – Bellini – giusto per restare immersi in un piccolo grande mare di film, saccheggiando, noi, Wim Wenders a cui già Ninni Panzera, che del racconto per immagini è schiavo e padrone, si ispirò per il suo “Il cinema sopra Taormina” dove, con passione e dedizione che sono sue cifre identitarie, ripercorreva i cento anni di pellicole girate a Taormina. Qui, gli anni sono esattamente la metà ché è nella prima parte del Secolo Breve fino al 1954 ch'ebbero cittadinanza i film “belliniani”: Panzera, complice la sua “Zattera dell'Arte”, li fa emergere come prodigiose isole ferdinandee destinati, queste, però, a non scomparire. Sette “isole” di celluloide più una sorta di “world apart” cioè “Norma” corredata da bozzetti, costumi e un ricordo di Anita Cerquetti (Premio Bellini d'Oro 2000), soprano “belliniano” di diritto non fos'altro che per aver sostituito la Callas, nel 1958, in occasione del leggendario “gran rifiuto” della grande artista greca all'Opera di Roma. E le “isole” in cui Carmine Gallone la fa da padrone, si chiamano “Casa Ricordi”, “Maria Malibran”, due “Sonnambula” (1942, 1952), tre “Casta Diva” (due del 1935, l'altro del 1954). Intorno a loro, una bottega delle minuzie fatta di poster generosi e preziosi (uno rarissimo di “Sonnambula”), cimeli come il bozzetto originale di “Norma” e un vero dipinto, cineromanzi, fotobuste, persino due calendarietti da barbiere (sappiamo bene quanto quei saloni siano stati colorito e colorato teatro di musica vera e veri talenti, in testa Giovanni Gioviale, virtuoso di mandolino), “copertine” di scatole di cerini.

L’ordine di visita suggerito da Panzera prevede in prima battuta “Casa Ricordi” (1954, “A toi toujours” recita il manifesto francese) di cui il regista, Gallone, firmava anche soggetto e sceneggiatura con Age e Scarpelli. A torreggiare su grande schermo e grandi poster la grande dinastia Ricordi – Giovanni (Paolo Stoppa), Tito (Renzo Giovampietro), Giulio (Andrea Checchi), Nadia Grey qui Giulia Grisi, in “Casta Diva” nel ruolo di Giuditta Pasta e Bellini, ça va sans dire, interpretato da Maurice Ronet che ricopre lo stesso ruolo nella “Casta Diva” del 1954 di cui si ammira anche l’affiche in russo. La “Casta Diva” del ventennio, invece, datata 1935 (“The divine spark” recita il manifesto angloamericano) ricevette la Coppa Mussolini alla terza Mostra (rigorosamente “esposizione” nella dizione fascista) di Venezia. A campeggiare nel poster quale interprete dell’innamoratissima, infelicissima Maddalena Fumaroli è la stupenda Martha Eggerth, cantante e attrice ungherese morta ultracentenaria nel 2013. Chi ha mai visto “Maria Malibran”, rarità del 1942, regia di Guido Brignone? Il poster ritrae Rossano Brazzi (Carlo De Beriot) accanto alla protagonista, Maria Cebotari. Dello stesso anno è anche la prima “Sonnambula” di Piero Ballerini, protagonista uno dei più controversi artisti del Ventennio, Osvaldo Valenti; l’altra fu 10 anni più tardi, regista Cesare Barlacchi, protagonista Paola Bertini. Accanto alla “grande illusione” nel segno di Bellini – che nutre mente e anima in egual misura – ve n’è un’altra, più che mai belliniana: risolvere l’enigma “policier” della morte dell’artista, a Puteaux, nel 1835. Per esempio, perché mai mettere quel geniale “italien blond” nelle mani (e nelle cure?) di Montallegri che, secondo quanto documentato da studi medici già ben avviati in occasione del bicentenario della nascita, non era abilitato ad esercitare la professione e non interpellare, invece, dottori “regolari” come Fornati e Fossati? E chissà che il cinema-cinema non trovi dell’altro pane per i suoi denti.    COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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