Taormina (Messina) – Era già tutto previsto. No, vabbè, il copyright è di Riccardo Cocciante, ovvio. Ma in una serata di canzoni e parole, tante canzoni e, forse, troppe parole, Antonello Venditti ha celebrato a Taormina i 40 anni di Sotto il segno dei Pesci e un po’ se stesso. Più er profeta del quartiere Trieste, dunque, che l’ottavo o il nono re de Roma (starebbe, diciamo, dietro ai sette che sappiamo e a quel Francesco Totti che pure Venditti, sicuro, anteporrebbe a se stesso. Er profeta, dunque. E’ vero, gli va riconosciuto, nel lungo percorso artistico, che è pure culturale e, per lunghi tratti, anche civile, Antonello Venditti di intuizioni ne ha avute tante e molte le ha cantate, facendo, bene, il suo mestiere. E a tanti, così, gliele ha cantate.
Con questo tour racconta se stesso, partendo da Lilly e Compagno di scuola, e spiega chi era lui, chi erano i ragazzi del Giulio Cesare e quelli delle assemblee, degli scioperi, chi e come comandava allora nell’industria discografica facendo il bello e il cattivo tempo e impedendo che uno come lui, e tutti gli altri artisti, potessero scegliere i musicisti con cui collaborare nei loro dischi. E’ un Venditti incazzato, decisamente, avvocato di se stesso e diremmo del popolo, ma ce n’è già uno in procinto di tornare a guidare il Paese, dunque diciamo avvocato della gente. Venditti contro la Rca per difendere la sua band, gli Stradaperta, con cui registrerà Sotto il segno dei Pesci. Venditti contro il Pci, cui contesta di non avere capito allora la tragedia dell’eroina utilizzata anche dal proletariato («mi dissero che era un problema da borghesi»), ma anche contro Veltroni («volle il Tg3 per spianare la strada alle reti di Berlusconi») e contro Renzi («A Firenze dormimmo da un intellettuale, la faccia giusta e tutto quanto il resto, ci disse no compagni amici io disapprovo il passo, manca l’analisi e poi non c’ho l’elmetto. Era lui – spiega – quello cantato in Bomba o non bomba».
Fiume in piena, profeta a 360° per saldare il racconto musicale di uno spettacolo di oltre 3 ore e mezza, ovviamente sold out, con tutto il repertorio delle sue canzoni, le più belle, le più conosciute, le più cantate. Serata di caldo umido, che non fa bene alla voce di Venditti, che però canta ancora e canta bene. Solo che, per dirla tutta, se non c’è canzone che non regali emozioni (Giulia su tutte, siamo d’accordo con lui), a furia di parlare, parlare, parlare, qua e là qualcosa sembra sfuggire di mano a Venditti. Racconta che negli anni 80, dopo la separazione da Simona Izzo, restò solo e povero in canna e a salvarlo fu l’amico Lucio Dalla. Bene. L’amicizia conta, spiega, e forse essere presenti al momento giusto ci avrebbe fatto salvare anche Luigi Tenco, che non si sarebbe suicidato per una canzone bocciata a Sanremo. Un po’ tristemente riduttivo, dietro quel suicidio c’erano altri tormenti esistenziali, racconta la storia di Luigi. E i tradimenti? Venditti spiega che se un uomo tradisce la moglie e glielo confessa è perché vuole alzare la qualità del rapporto coniugale. Dunque la donna capisca e perdoni, se non vuole passare per bestia. Ma avesse chiesto agli uomini presenti al teatro antico quanti perdonerebbero il tradimento della moglie finalizzato a ridare stimoli al rapporto, che risposte avrebbe incassato? E se pure le banche davvero prestano denaro a tassi draculiani, possibile dire che sono peggio dei Casamonica?
E niente, battute infelici, ma in quasi quattro ore di spettacolo, flashback e qualche visione sul futuro, si fa finta di niente. Bomba o non bomba arriveremo a Roma, giusto, canta di nuovo Venditti. Già, speriamo di trovarla ancora ‘sta Roma.