Speciale rappresentazioni classiche
«Prometeo in una sorta di Chernobyl, il progresso può devastare il mondo»
Il protagonista Alessandro Albertin: «Sarò come il Cristo di Mantegna coperto solo da un drappo». «L’eroe non si pente mai di quanto fatto per gli uomini»
Una landa desolata ai confini del mondo, un’era industriale implosa per accelerazione produttiva e sfrenato desiderio di conquista. È la Scizia della 58a edizione delle rappresentazioni classiche, il luogo della punizione di Prometeo, l’eroe di Eschilo confinato da Zeus con un pesante capo d’accusa: aver dotato gli uomini della scienza del fuoco e della possibilità di progredire. Disobbediente agli dei, pietoso e amorevole con gli uomini. Colpevole di hybris, di tracotante disprezzo della legge divina, Prometeo è padre generoso dell’umanità, archetipo dell’eroe che aiuta i più deboli. Nel ruolo eponimo della tragedia di Eschilo è l’attore veneto Alessandro Albertin che con il regista Leo Muscato condivide un passato alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano.
«Come Amleto o Edipo, Prometeo è uno di quei ruoli per cui un attore darebbe dieci anni di vita – dichiara entusiasta Albertin – Un testo dalla bellezza e dalla difficoltà disarmanti, con il protagonista sempre in scena. C’è tutto: filosofia, religione, scienza, morale e, come tutti i classici, è sempre attuale. Non ho smesso un istante di studiare, voglio che la memoria sia granitica».
Al suo debutto al Teatro greco di Siracusa, Albertin torna a Prometeo, ruolo che aveva già incarnato in uno spettacolo al Teatro greco-romano di Catania nel 2019 poco prima che scoppiasse la pandemia. «Solo una manciata di repliche e poi la chiusura. Era destino che mi rifacessi con questa grande occasione a Siracusa: lo spazio maestoso e la sua storia millenaria fanno tremare i polsi. Chissà come sarà trovarsi davanti a un muro palpitante di spettatori! Fortuna (scherza) che inizio incappucciato e in tutta la scena iniziale del dialogo con Cratos ed Efesto do le spalle al pubblico che vedrò solo quando salirò sul torrione per l’incatenamento».
Sulla scena viene ricostruito l’ambiente livido di un sito industriale abbandonato, corroso dalla ruggine, inquinato da un’enorme chiazza di petrolio che fuoriesce da un bunker sotterraneo. «Se lo spettatore pensa di vedere coturni e pepli, rimarrà deluso. Io sarò come il Cristo del Mantegna, con un solo drappo a coprire le parti intime, due cavigliere pesanti (in apparenza) mi legano a una ciminiera di un complesso industriale deserto».
Incatenato per irrevocabile giudizio divino, Prometeo ha davanti a sé un luogo che restituisce i segni vistosi del cattivo uso che l’uomo ha fatto del progresso: rovine industriali documentano la distruzione e la contaminazione nefasta della natura. «Una sorta di Chernobyl, un territorio devastato dall’uso distorto di scienza e progresso. Eppure non c’è senso di colpa nell’eroe – chiosa Albertin – Come quando un genitore fa tutto per i propri figli e poi non ne riceve gratificazione: non si pente mai di quello che ha fatto per loro. Prometeo ha una lucida consapevolezza delle sue azioni e se ne assume la responsabilità. “La tecnica è di gran lunga più debole del destino”: in queste parole c’è il senso della tragedia che riverbera sul nostro tempo in modo inquietante. Se l’uomo ha fatto grandi passi in avanti, molte cose rischiano di ritorcersi contro. Si pongono interrogativi: quando bisogna fermarsi? Stiamo andando oltre? C’è il rischio di seminare morte rincorrendo il benessere?».
Il “Prometeo incatenato” di Eschilo ha la traduzione di Roberto Vecchioni. «Avendoci a lungo lavorato di memoria, trovo la versione di Vecchioni di facile ascolto e di suggestiva contemporaneità, pur nella preziosità poetica delle scelte linguistiche».
Da Gassman a Herlitzka fino a Branciaroli e Popolizio, grandi protagonisti nel ruolo di Prometeo hanno lasciato il segno a Siracusa. «Se faccio i conti con queste colonne del Teatro che hanno fatto la storia dell’eroe eschileo prima di me, mi verrebbe di restare a casa. Con Gassman ho un ricordo tenerissimo di cinque minuti in camerino nel ’95 poco prima degli esami di ammissione alla scuola, mentre quello con Branciaroli è stato indiscutibilmente l’incontro professionale più importante della mia vita. A tutti loro chiedo di starmi vicino. Cerco di essere me stesso il più possibile, porto in scena una mia recente sofferenza personale che ha aspetti paralleli a quanto è accaduto a Prometeo. Inoltre, mi viene incontro un personaggio a cui ho dedicato un monologo che da qualche anno porto in giro con successo. Si tratta di Giorgio Perlasca, anche lui un uomo che ha fatto del bene e i cui meriti – aver salvato 5000 ebrei – per lungo tempo in Italia non sono stati riconosciuti».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA