Ecco a voi sua maestà l’arancin*, lo street food per eccellenza della Sicilia

Di Redazione / 14 Giugno 2022

Insieme al cannolo l’arancin* – rigorosamente senza genere – è senz’altro lo street food più tipica della Sicilia. Da occidente, dove si declina al femminile, all’oriente dove invece si identifica col genere maschile, non c’è luogo della Sicilia dove non ci sia l’usanza di cucinarle.

Di sicuro c’è che l’arancin* l’hanno portata gli Arabi che avevano l'abitudine di appallottolare sul palmo della mano un po’ di riso per poi metterci dentro della carne di agnello. E sempre gli Arabi tendevano a chiamare – come ha riportato Nel XIII secolo Giambonino da Cremona, che ha tradotto anche le ricette dall’arabo – tutte le loro polpette con un nome che rimandasse a un frutto in qualche misura simile: da qui la parola arancina, come piccola arancia. In Sicilia occidentale ha una forma sferica, nella Sicilia orientale ha invece una sorta di cono nella parte superiore.

La panatura è un’invenzione successiva e che chi la attribuisce alla corte di Federico II, sovrano che secondo le cronache dell’epoca era ghiotto di arancini che portava con sé durante le battute di caccia.

Dunque arancina o arancino? Se ci rifacciamo all’usanza araba e dunque alla forma che richiama un frutto, è senz’altro arancina. Ma ad Est fanno notare che in lingua sicula non è l’arancia il frutto dell’arancio, ma l’aranciu, che è maschile. E in effetti i dizionari dialettali, a partire dal Buldi (1857), registrano il termine al maschile. Bisognerà attendere il 1942 per la prima attestazione del termine “arancino” nella lingua italiana, nel Dizionario moderno del Panzini.

Per l’Accademia della Crusca, comunque, entrambe le diciture sono corrette, nella misura in cui il femminile ha un’impronta più vicina alla lingua italiana e il maschile è di derivazione dialettale.

Anche sulla collocazione storica ci sono diverse ipotesi: certo la derivazione è araba, ma il pomodoro comnincia ad essere coltivato a scopo alimentare nel Sud Italia solo all’inizio dell’Ottocento. Quindi la ricetta che conosciamo noi è senz’altro ottocentesca: un dolce di riso diventato specialità salata.

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Pubblicato da:
Fabio Russello