La frana dei vecchi ospedali catanesi registra un altro episodio molto grave. E' stata decisa la chiusura del vecchio padiglione dell'ospedale di maternità “Santo Bambino”.
Circa sessanta posti-letto (anche se in condizioni indegne) vengono a mancare alla provincia di Catania in un settore assai carente che, in un ragionevole piano, ne richiederebbe almeno 200 in più perché si possa far fronte dignitosamente alle richieste. E' un altro duro colpo, quindi, per l'assistenza sanitaria che si pratica a Catania e che attende ancora — tra i fumi della bolsa retorica dì cui si ciba la eterna fase di programmazione — un piano preciso proiettato nel futuro.
La decisione di chiudere il vecchio padiglione del “Santo Bambino” (i padiglioni efficienti continuano, naturalmente, a funzionare) è stata presa sabato sera. Ma essa è stata resa nota solo ieri con questo comunicato: « II consiglio di amministrazione dell'ospedale Maternità Santo Bambino di Catania, riunitosi in data 20-12- 1975, alle ore 18, sotto la presidenza del prof. Girolamo Barletta e alla presenza del direttore sanitario dell'ospedale, dott. Santo Gluffrida, e del direttore amministrativo, dott. Michele Sanfilippo; presa in esame l'insostenibile situazione igienico-sanitaria del reparto allogato nel vecchio padiglione dell'ospedale; ritenuto che non è più possibile tollerare i disagi obiettivi di una situazione che coinvolge pazienti, personale medico e para-medico; pur convenendo sul danno effettivo arrecato alla città e alla sua provincia, con la sottrazione al pubblico servizio di un congruo numero di posti- letto; DELIBERA a) Chiudere all'attività il vecchio padiglione ospedaliero;
b) Riattrezzare, compatibilmente con gli angusti Inulti di bilancio, la vecchia sala operatoria e crearne un'altra attigua;
c) Reperire, nell'ambito dell'edificio ospedaliere funzionante, il maggior numero di posti-letto in sostituzione parziale dei soppressi;
d) Dar luogo, con procedura urgente, alle sistemazioni ambientali necessitate dalla situazione di emergenza.
FA VOTI che governo regionale e il competente assessorato alla Sanità, prendendo atto del presente provvedimento, si rendano effettivamente disponibili per un franco colloquio che preluda ad una fase decisionale di categorici ed ineludibili impegni, soprattutto in riferimento al plano di ripartizione con l'auspicio che esso preveda ampie provvidenze per l'ospedale Santo Bambino.
A questo punto c'è da fare qualche considerazione.
Prima di tutto: la decisione del consiglio di amministrazione, confortata dal parere del consiglio, dei sanitari e del medico provinciale, è più che legittima. Non e più accettabile che in una comunità civile — o presunta tale — sopravvivano, sotto il nome di ospedali, lazzaretti immondi tipo il vecchio “Santo Bambino”, e luoghi di tortura come la «fossa dei serpenti», e reparti del tutto fuorilegge e aperti a ogni rischio, come l'Ortopedico del “Garibaldi”, tanto per citare i tre casi più recenti.
La ovvia considerazione «dove mettiamo i ricoverati?” ha senso solo in una chiave di temporaneità. E invece di essa si è fatto un alibi per amministrare in eterno un marciume al quale gli amministratori ospedalieri si sono abituati e che, col passare degli anni, viene considerato normalità.
Con il «dove li mettiamo? », responsabili degli ospedali hanno fatto scudo alla loro inefficienza, al loro modo di giocare con gli ospedali sulla pelle di tanta povera gente.
E ai cori pietosi s'è aggiunta la voce del medico provinciale il quale ha avallato situazioni igienicamente e sanitariamente scandalose, forse anche per ragioni di coscienza, ma certamente pure per un quieto vivere che non è consentito a chi ricopre posti di grande responsabilità.
Le vergogne vanno cancellate.
I rami secchi vanno tagliati. Senza pietà. E' questo l'unico modo per affrontare seriamente la situazione e per sperare che qualcosa di nuovo e di diverso accada.
Seconda riflessione. Sono stati fatti tutti i tentativi per salvare i sessanta posti-letto del vecchio “Santo Bambino”.
Da tempo è stato predisposto un piano di ristrutturazione, già presentato all'assessorato regionale alla Sanità.
L'assessore Gulotta si era impegnato pubblicamente e categoricamente per un finanziamento di 250 milioni.
Non se n'è saputo più nulla.
« Prima di decidere per la chiusura — ci ha detto ieri sera il presidente prof. Barletta — abbiamo lanciato appelli all'assessorato regionale e abbiamo interessato diversi parlamentari regionali.
Non è accaduto nulla. L'assessore Gulotta, al quale abbiamo inviato ben quattro dettagliati telegrammi, non ha ritenuto neanche di risponderci. A questo punto, non potevamo più resistere.
Il vecchio “Santo Bambino” era una vergogna. Le sue condizioni igieniche non erano più tollerabili. Del resto, voi stessi ne avete fatto una descrizione fedele.
Adesso mi risulta che il deputato regionale Russo ha presentato una interpellanza per chiarire le ragioni del mancato intervento assessoriale.
Noi speriamo fervidamente che il finanziamento arrivi e che il vecchio padiglione possa essere ristrutturato.
Per il momento ci si prospetta il dramma di dover respingere della gente.
E questo è veramente grave. Stiamo, comunque, adottando soluzioni di emergenza per cavare, dalla parte nuova, il maggior numero di posti e per garantire all'Università i cinquanta letti previsti dalla convenzione. Siamo in piena emergenza.
Devo aggiungere che la dolorosa ma irrimandabile decisione di chiusura è stata presa all'unanimità, con il conforto del parere di tutti, anche del prof. Cianci che dirige la nostra Clinica ostetrica».
Cadono a una a una, dunque, le nostre marce strutture sanitarie pubbliche. E la oscura regia di questo sfacelo, che si poteva benissimo evitare, reca clienti e quattrini alle case di cura private dove, con il caos che regna nelle convenzioni mutualistiche, la povera gente non può accedere; e dove chi può spendere trova magari il televisore in camera, ma non certo l'assistenza e la garanzia di un ospedale bene attrezzato che, in tutte le comunità civili, resta insostituibile.
Qui crollano gli ospedali e prospera l’industria degli ammalati da spennare.
Uno scandalo che non si riesce a stroncare.