Sedici, diciotto, ventimila. Il conteggio della strage è impossibile. Il mare ha inghiottito e cancellato volti, nomi, passati, sogni, speranze. Vite cancellate dalla storia dell’uomo. E sono queste che Papa Francesco vuole riscattare – venendo a Lampedusa – dall’oblio alla memoria, dal nulla alla misericordia, dall’indifferenza alla compassione. Lui, il Papa venuto dalla fine del mondo, vuole ricordarli. Se potesse, uno per uno, chiamandoli per nome. Senza barriere di lingua né di razza, tantomeno di religione. Insieme con le migliaia di fedeli che si affollano per partecipare alla celebrazione della Messa nello spiazzo del campo di calcio. Morti di cui siamo tutti responsabili. Senza eccezioni. Ecco la ragione della liturgia di penitenza e conversione.
Per chiedere perdono al Signore «per l’indifferenza – dice il Pontefice – verso tanti fratelli e sorelle, per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi». Per questo il viaggio del Papa è presa di coscienza e al contempo percorso lungo il calvario provocato – dice nell’omelia – dalla «globalizzazione dell’indifferenza». «Adamo, dove sei? » e «Caino, dov’è tuo fratello? Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me? ». E’ su queste due domande che Dio rivolge ad Adamo e Caino che si incerniera la missione di Francesco, di riparazione e di pentimento. «Queste due domande di Dio – sottolinea – risuonano anche oggi, con tutta la loro forza. Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito».
Un viaggio nel dolore, quello del Papa a Lampedusa. Già pochi minuti dopo essere sceso dall’aereo che da Ciampino lo ha portato nell’isola al centro del Mediterraneo. A Cala Pisana, luogo di imbarco per migliaia di migranti per la terraferma, sale sulla motovedetta 282 della Capitaneria di porto scortata da decine di pescherecci. La meta è distante poco più di un miglio. Un tratto di mare che benedice e in cui lancia una corona di crisantemi di colore bianco e giallo in memoria delle vittime della strage. Quindi, sempre a bordo della motovedetta, raggiunge il molo Favarolo, dove i migranti che arrivano a Lampedusa toccano finalmente terra dopo il viaggio sulle carrette del mare. Gli ultimi 166, tra cui 4 donne, sono sbarcati alle 7,30 di ieri, recuperati a 40 miglia a sud dell’isola dalle motovedette della Guardia di Finanza e della Capitaneria di porto.
E’ qui che Francesco incontra cinquanta migranti arrivati nei giorni scorsi e ascolta le loro storie. Li benedice, guarda i loro occhi, sfiora i loro volti, stringe le loro mani, pone domande. «L’ho visto commosso, colpito da ciò che sentiva, dai racconti di violenze, di stupri, di disperazione», ricorderà dopo padre Riccardo Lombardi, il portavoce della sala stampa vaticana. Francesco è ancora frastornato e profondamente colpito da quello che ha appena ascoltato dai migranti eritrei quando, poco dopo le 10, arriva al campo di calcio – accolto dagli applausi, dagli evviva e dai canti dei fedeli – a bordo della vecchia “Campagnola” trasformata in Papamobile.
«Ha approfittato di ogni pausa – spiega poi il vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro – per concentrarsi, anche durante la liturgia, su ciò che ha visto e ascoltato con il cuore sofferente al molo Favarolo». Una strage. Come quella degli innocenti voluta da Erode a Betlemme nel vano tentativo di eliminare Gesù appena nato.
«Chi di noi – chiede il Papa nell’omelia riferendosi ai migranti annegati nel Mediterraneo – ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bimbi? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le loro famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza».
Per i lampedusani e i linosani, Francesco ha parole di lode. Perché la loro lezione di solidarietà nei confronti dei migranti deve essere appresa e adottata dal mondo intero. Lo dice durante la Santa Messa e lo conferma nell’incontro nella chiesa di San Gerlando con i parrocchiani. Qualcuno si è lamentato. «E’ venuto per i migranti, non per noi».
Gelosie fuori luogo. Perché il Pontefice, rivolto alla Madonna di Porto Salvo, protettrice dei pescatori dell’isola, implora la benedizione per «gli uomini e le donne di Lampedusa che accolgono a confortano coloro che approdano su questa terra. L’amore ricevuto e donato sia il segno di nuovi legami fraterni per un nuovo mondo di pace». Il programma è saltato. La partenza slitta di quasi un’ora. Prima di partire Francesco dona un obolo consistente alla Caritas della Diocesi di Agrigento e alla parrocchia di San Gerlando. I dubbi li esprime a padre Lombardi. «Spero proprio – gli confida – che i fedeli capiscano il significato di questo viaggio. L’accoglienza è stata splendida. Ma io vorrei che restasse il gesto significativo e importante di piangere coloro che sono morti, di incoraggiare chi continua ad accoglierli con solidarietà e di invitare chi ha responsabilità politiche ed economiche a mettere più cuore per migliorare le condizioni di vita per tutta questa gente che affronta il mare per un futuro di speranza. Io dovevo venire per forza a Lampedusa». Padre Stefano Nastasi, il parroco che ha scritto al Papa, è convinto di sì.
«Santo Padre, gli ho detto, noi siamo un dono per Lei e Lei è un dono per noi». E il sindaco Giusi Nicolini: «Sono parole fortissime quelle che il Papa ha pronunciato contro la “globalizzazione dell’indifferenza” e l’”amnesia del cuore”, sottolineando la responsabilità di governi e politiche socio-economiche portatrici di disagi e povertà. Dopo questa visita e queste parole – aggiunge – nessuno potrà fare finta di non vedere Lampedusa e continuare ad ignorare i migranti che attraversano il Mediterraneo alla ricerca di una vita possibile. Ci auguriamo che quest’isola possa finalmente rappresentare per loro la porta d’accesso per un nuovo inizio, fatto di giustizia, pace e diritti. Sono commossa insieme a tutti i miei concittadini per i ringraziamenti che Papa Francesco ha rivolto alla comunità di Lampedusa e Linosa. Siamo passati – conclude Nicolini – dalla “collina del disonore” al giorno del riscatto». Il Papa da qualche ora è partito e Lampedusa torna alla sua quotidianità. Altare, transenne, soppalchi, impianti di amplificazione sono spariti. Alle venti, al tramonto del sole, sul campo di calcio ormai sgombro zampettano i gabbiani.