Un ex voto “sociale” per S. Agata, chiamata Tè-tazza, con un pizzico d’ironia per invitare alla prevenzione del tumore al seno ma anche per esorcizzare il trauma di una malattia che ti costringe a fare i conti con la “decadenza” del corpo. La stessa decadenza che Helena Candelas ha ritrovato nelle immagini di Carlo Arancio, il fotografo che restituisce lo splendore degradato delle dimore nobiliari siciliane abbandonate con il suo progetto “Sicily in decay”. Helena, madrilena, 51 anni, artista autodidatta, artigiana di gioielli, scultrice, pittrice, è in questi giorni a Catania per partecipare la festa di S. Agata nella sua edizione post-pandemia. Era qui anche l’anno scorso, quando, dopo l’intervento al seno, decise di affidarsi alla Santa.
Come ha conosciuto la storia di S. Agata?
«Tramite la madre del mio compagno. Fu lei a dirmi che la patrona di Catania era anche la protettrice delle donne operate al seno, così siamo venuti espressamente per vederla e chiederle che mi facesse guarire dopo l’operazione. Mi sono innamorata subito delle foto di Carlo esposte nel B&b nel quale soggiornavo. Chiesi al mio compagno di scattarmene una, proprio con una di queste foto come sfondo. Mi pareva che avessero una simbologia fortissima, le “ferite” dell’architettura corrispondevano alle ferite del mio corpo. Poi conobbi l’autore, Carlo. Gli proposi di ritrarmi in quel contesto, ma con una visione che doveva trasmettere positività e speranza. La chemioterapia ti porta all’inferno, al livello più basso, e io volevo tornare a innalzare lo sguardo».
Oggi queste foto, cinque stampate su carta, altre proiettate su uno schermo, sono esposte fino al 6 febbraio (dalle 16 alle 20) nel teatro di Piazza Scammacca.
«Per me è stata un po’ una sfida – racconta l’autore, Carlo Arancio, e anche un onore grandissimo far entrare Helena nell’atmosfera dei luoghi che fotografo. È stata la prima volta che mi occupavo di ritratto e la prima volta che il mio lavoro avesse una finalità così nobile. Ho cercato di mischiare la “carne” ferita di lei con lo sfondo rosso, pieno di chiazze dovute all’incuria, del palazzo degradato, ma ho voluto dare una luminosità di speranza a queste foto, in modo che non fossero fine a se stesse. C’è il bianco agatino, c’è il rosso del martirio, anche qualche traccia di dorato. C’è la porta in ombra della malattia e quella illuminata, della guarigione».
Perché ha voluto questi ritratti?
«Per me – risponde Helena Candelas – sono state una forma di arte terapia. Queste foto connettono la sofferenza, il percorso difficile di una donna che si trova a combattere con il cancro al seno, io come chiunque. Sono un modo per “rimuovere” il dramma psicologico, fisico e sessuale causato da un intervento del genere».
Quando ha scoperto di avere il cancro al seno?
«Due anni fa e ho voluto mostrami senza vergogna in queste foto per invitare le donne alla prevenzione. Se io non avessi ascoltato i miei familiari che hanno insistito affinché facessi i controlli non sarei stata qui oggi. Per questo le foto sono un po’ forti, ho voluto far vedere alle donne cosa rischiano».
L’anno scorso qual è stato il suo primo impatto con Catania e S. Agata?
«A me la città piace molto è caotica e meravigliosa al tempo stesso, ha una bellezza pura. In quel momento l’ho sentita molto vicina al momento che stavo attraversando».
Lei è credente?
«Io non sono cattolica praticante però credo. Quando uno è vicino alla morte si afferra a qualsiasi cosa. A S. Agata ho chiesto di farmi guarire e lei mi è stata vicina».
Per questo ha realizzato l’ex voto Tè-Tazza?
«Sì. La Tè-tazza è una tazza di tè con un piccolo cucchiaio e un capezzolo, è fatta in argento 925 ha uno stile decostruttivista con le saldature lasciate a vista che lasciano intravedere le ferite. La forma del seno, le crepe, rappresentano la sofferenza subìta. È una piccola opera che ha uno scopo sociale. Tutto il denaro che raccoglierò dalla vendita sarà destinato in progetti per la prevenzione contro il tumore al seno e mi occuperò personalmente di sapere come saranno impiegati questi soldi. Penso all’acquisto di cose concrete, per esempio macchinari per la diagnosi da donare all’Hospital Puerta de Hierro Majadahonda, a Madrid dove sono stata operata io».