Oggi è l’estate di San Martino. A giudicare dal meteo, sembra inverno. In realtà, sebbene fino a ieri qualcuno andasse in giro con le mezze maniche, è autunno. Già si avvertono i tipici “profumi” nell’aria. Vedere le foglie degli alberi mulinare al vento suscita ancora una certa emozione. Ci ricorda la maestra della scuola elementare quando ci lasciava per casa il tema: “descrivi l’autunno”. Per redigerlo, bisognava per forza ricorrere all’osservazione ambientale. L’avvicendarsi regolare delle stagioni nella loro ciclicità garantisce quell’armonia insita nella natura stessa. Da anni non si sente parlare d’altro che di cambiamento climatico. In parte è così. I disastri che hanno duramente colpito il nostro Paese e altre parti dell’Europa, sembrano confermarlo. Molti di questi hanno dei precedenti, ma adesso bisogna correre ai ripari lo stesso.
Intanto ci siamo. Parafrasando una vecchia canzone del repertorio italiano: “Un bicchiere di vino fa tutto scordar…” (La vita è bella). “Per San Martino, ogni mosto è vino… Amici… si stimpagna! ( si aprono le botti per il primo assaggio). La variante è: “Ppi San Martinu… castagni e vinu”. Di fatti, i venditori di caldarroste, per tutta la giornata invadono di fumo le strade con i loro “fuculara”. Hanno la licenza per farlo, proprio per mantenere viva la tradizione. Del resto, è una delle poche usanze rimaste.
A loro posto sono subentrati riti che poco hanno a che vedere con il nostro comune sentire. Anche se la vendemmia ormai si svolge ai primi di settembre anziché ai primi di ottobre come si faceva una volta, il clima della cantina mantiene intatto il suo fascino. E’ il momento in cui si chiede “‘o putiàru” il permesso di assaggiare il vino nuovo. La degustazione avviene sul posto. Meno di mezzo bicchiere per scegliere la varietà ritenuta più consona al proprio palato. Anche chi non è un esperto della materia, in quel preciso istante si comporta come il più intransigente dei “sommelier”. Il classico sorseggiamento, e dopo qualche istante di pausa arriva la sentenza: “…Bonu mi pari… chissu vogghiu!”.
Fino alla metà dello scorso secolo, Catania era piena di “Putìe”. Una delle più famose fu quella di “Peppa ‘a Tucca”, nel cuore della Civita. Peppa era un personaggio. Di lei si diceva che fosse “cutta e amara”. Una mosca sul naso non se la faceva passare. Era sempre molto attenta. Quando si accorgeva che qualcuno alzava un po’ troppo il gomito, lo cacciava fuori. Faceva “opera di prevenzione” per evitare che finisse per fare “dannu”. Nella sua Putìa, si beveva vino “‘m-pettra”, cioè a temperatura ambiente. Ne declamava la qualità. Se qualcuno “osava” chiedere dell’acqua, lo apostrofava bonariamente: “‘a viviri vinu picchì cu l’acqua ti nasciunu ‘i larunchi ‘nto stomucu!…”. In materia di vino, la nostra città e i paesini dell’Etna non sono mai stati inferiori a nessuno. Nel 1881 nacque a Catania (a Barriera) la “Scuola di viticoltura ed enologia”. “‘A scola logica” come veniva chiamata dagli abitanti del luogo, fu uno dei primi istituti di indirizzo agrario d’Italia. Comprendeva aule, laboratori, enormi cantine e un annesso vigneto oggi purtroppo smembrato e abbandonato. Una vera eccellenza per quel tempo.
Continua a far discutere la decisione da parte della commissione europea di etichettare le bottiglie di vino con la scritta: “Dannoso alla salute”. Il vino è una bevanda alcolica viva che, al netto di possibili deprecabili abusi, possiede proprietà organolettiche benefiche. Dalla vite alla tavola, passando per la botte, questa bevanda è sempre stato materia di cultura, decantata da poeti e scrittori. “Il vino è la poesia della terra” affermava Mario Soldati”. Domenico Tempio era un assiduo frequentatore di bettole e ritrovi dove il vino scorreva “‘a cannaggiu”. E i poeti siciliani. In un ipotetico contrasto all’antica maniera tra Orsula e Matteu, quest’ultimo chiosa: “…’O curri, fuji…viri zoccu ‘a fari…/ ‘u vinu c’ha statu…e sempri ci sarà…/ E’ nettari divinu…sucu di filicità”( Chi è lu vinu).