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L’arcivescovo di Catania: «Cristiano credibile è chi denuncia le mafie»

Monsignor Luigi Renna a Berlino per tracciare il percorso intrapreso dalla Chiesa

Di Redazione |

Una conferenza internazionale per documentare l’azione ecclesiale di contrasto alla criminalità organizzata e alle varie mafie che oggi stanno prendendo in tutta Europa una connotazione fortemente imprenditoriale con ricadute non solo sullo sviluppo economico ma anche su quello sociale. Questo l’obiettivo del forum europeo promosso da “Justitia et pax” su Chiesa e mafie, tenutosi a Berlino dal 3 al 7 luglio. Per l’Italia è intervenuto l’arcivescovo di Catania mons. Luigi Renna, presidente della Commissione episcopale della Cei per i problemi sociali e il lavoro.Nella sua documentata relazione, l’arcivescovo Renna ha evidenziato come, negli ultimi decenni, sia «cresciuta nella Chiesa la consapevolezza nei confronti della criminalità organizzata e con essa un’azione efficace di contrasto e di autentica testimonianza evangelica». Nel “caso italiano” si è profilata storicamente una seria difficoltà: quella di distinguere fra appartenenza mafiosa e fede. Gli appartenenti alle varie mafie per tanto tempo hanno vissuto una loro forma di religiosità, una religione «capovolta»: hanno frequentato le chiese, hanno sostenuto le feste popolari, continuando tranquillamente i loro loschi affari e le loro azioni di morte. La mafia ha sempre ostentato la sua devozione religiosa, anche se non ha seguito l’insegnamento della Chiesa.«È una religione capovolta – sostiene mons. Renna nella sua relazione – della cui distorsione l’esponente dell’organizzazione criminale non ha contezza, essendo cresciuto in un ambiente povero sia culturalmente che ecclesialmente, nel quale anche la catechesi, quando c’è stata, non ha lasciato alcun segno».Ecco allora la priorità per i cristiani di oggi: imparare a discernere, muovere da «una conversione del modo di intendere la fede» e dalla riscoperta delle sue esigenze.Nella sua relazione, l’arcivescovo Renna ha tracciato il lungo itinerario attraverso cui la Chiesa italiana ha maturato questo discernimento nei confronti delle mafie fino a divenire essa stessa terreno di resistenza a tutte le organizzazioni criminali. Il punto di svolta più emblematico fu l’intervento profetico di Papa Giovanni Paolo II alla Valle dei Templi di Agrigento il 9 maggio 1993. Quelle parole, secondo mons. Renna, «sono state capaci di dare visibilità alla testimonianza di quanti hanno fatto, in questi ultimi decenni, della resistenza alla mafia il crocevia – spesso bagnato di sangue – del loro anelito alla giustizia e alla santità».Sarebbe interessante – sostiene l’arcivescovo – fare un elenco delle professionalità e delle vocazioni che sono state vittime di mafia, perché ci si accorgerebbe che in Italia «è stata la strage di un popolo: padri e madri di famiglia, figli che non hanno voluto seguire le orme criminose dei padri, giornalisti, educatori, imprenditori, politici, militari, sacerdoti».Questo fatto ci porta a evidenziare un altro aspetto: in Italia s’è sviluppata nel tempo una vera e propria «resistenza popolare». In questa prospettiva, le mafie non possono più essere interpretate come espressione di una religiosità deviata, ma – osserva l’arcivescovo di Catania – «vanno viste come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione: le mafie sono strutture di peccato».Quali strategie sta maturando oggi la Chiesa italiana per contrastare le organizzazioni criminali? La priorità ineludibile è l’educazione e la formazione dei giovani a una fede consapevole, al bene comune, alla socialità, alla solidarietà, alla legalità. All’opera di annuncio si affianca quella di denuncia, «soprattutto in situazioni in cui solo la Chiesa riesce ad essere alleata delle vittime di mafia».Tra gli ambiti di impegno c’è anche quello del lavoro libero e dignitoso, che la Chiesa italiana, soprattutto nel Sud, sta perseguendo da più di 30 anni attraverso il Progetto Policoro.Ma da dove iniziare l’opera educativa e di promozione sociale? L’arcivescovo Renna non ha dubbi: dalle periferie. E nella sua relazione porta molti utili esempi di iniziative sorte negli ultimi decenni nelle periferie del Sud Italia. Dalle attività educative e musicali sorte a Catania nel quartiere di Librino alla cooperativa “La Paranza” che gestisce le catacombe di san Gennaro a Napoli fino ai presidi di Libera nei beni e nei terreni sottratti alla mafia. Ma Renna riferisce anche come modello le iniziative di accoglienza dei migranti e il lavoro di tanti volontari a fianco dei carcerati.La parola che torna come un leit motiv nella relazione dell’arcivescovo a Berlino è “rete”. La resistenza alle mafie si alimenta di reti di rapporti solidali fondati sulla difesa del bene comune.«Cosa ci rende credibili come credenti?», si chiede infine monsignor Renna. Ecco la risposta sintetica: «L’opera di denuncia, annuncio, costruzione della speranza».

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