«Un ragazzo non nasce delinquente, non nasce mafioso, i ragazzi sono una tabula rasa. Se vedono e se crescono con esempi positivi, esempi capaci di indirizzarli nel percorso da seguire, non può che aumentare la cultura della legalità e dell’appartenenza. Ma questo non basta, devono avere poi la possibilità e la capacità di affermare loro stessi». Così il tenente dei carabinieri Ivan Zaniboni, comandante del nucleo operativo di Piazza Dante approfondisce con La Sicilia il senso dell’iniziativa “La cultura della legalità” nelle scuole. Lui è un giovane ufficiale, ha 27 anni e insieme con altri colleghi è salito in cattedra.
Che valenza hanno gli incontri?
«Duplice. da una parte tecnica perché spieghiamo agli studenti quali sono i rischi e i pericoli di droga, alcool, degli incidenti stradali piuttosto che di bullismo, di stalking e revenge porn. E affrontiamo il tema prima in maniera generale, poi nello specifico sapendo di parlare a una platea delle scuole medie e superiori facendo loro capire quali sono a livello giuridico i reati e il metodo di azione degli investigatori. Dall’altra parte, portiamo l’esperienza dell’Arma come rappresentanti dello Stato. Siamo una grande istituzione e con un modello particolarmente rigoroso, le stellette che sono una grande responsabilità e le regole di condotta che sono antiche e che affondano le radici nei secoli».
Qual è il messaggio che deve passare?
«Che a ciascuno di noi giovani compete affrontare con intensità il presente, sfidando le logiche dell’indifferenza, del pressappochismo, della furbizia. La mafia si combatte educando alla legalità e al rispetto delle piccole cose. Tutti noi dobbiamo imparare a seguire ogni sorta di regola, non sceglierci le regole, ogni regola va osservata e non pensare che succedono cose molto gravi per cui tanto vale la pena di non impegnarsi su altro. Si parte proprio dalle piccole cose: si rispetta la fila al supermercato, si indossa il casco sul motorino, si rispettano le regole della convivenza civile».
Quali sono le domande più frequenti che gli studenti vi hanno rivolto?
«Riguardano i social network. E noi rispondiamo sui pericoli e le criticità che se oggi non sono avvertiti come tali, potrebbero esserlo domani. I giovani sono sempre più abituati a riversare la loro vita in rete, talvolta sottovalutando i stesso. A loro cerchiamo di spiegare quindi quali sono le condotte da seguire per evitare che possano trovarsi in difficoltà. Quando si vedono reati o condotte da condannare a opera di ragazzi, di bambini, ci vogliono sicuramente tanti carabinieri ma anche tanti maestri e maestre perchè è dalla cultura della legalità che si passa a un comportamento civile nella vita».
C’è un aspetto innovativo su cui avete puntato?
«Stiamo puntando molto sull’aspetto cyber. L’Arma sta incentivando l’arruolamento di giovani in possesso di una preparazione professionale funzionale all’innovazione tecnologica e di sviluppo delle branche della digital forensics e della digital Investigation. Nei cicli di conferenze negli istituti tecnici e commerciali, gli studenti si sono mostrati interessati al modo in cui portiamo avanti le indagini e a quello che facciamo a livello informatico nell’attività investigativa. Abbiamo reparti altamente specializzati a livello centrale, ma anche periferico che si occupano di indagini telematiche nei comandi provinciali, ma anche nei reparti speciali come il Ros, o i carabinieri che si occupano delle indagini sulle cripto valute».
Qualcuno ha espresso il desiderio di arruolarsi?
«Sì. Si sono mostrati interessati e affascinati dai concorsi. Abbiamo ricevuto attestati di stima. E ho visto nei loro occhi la voglia di scoprire un mondo che magari per famiglia o per il contesto in cui vivono non conoscevano. Ci hanno chiesto le modalità di accesso ai bandi, delle prove e cosa sarebbe stata poi la vita futura. E c’è chi ci ha chiesto dei tatuaggi. A questa età si sa: vengono invogliati dall’amico, ma magari poi se ne pentono. I tatuaggi sono ammessi, purchè non siano visibili…».