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Siracusa, l’incubo delle cartoline gialle

Di Seby Spicuglia |

SIRACUSA – Un solo ufficio postale per la consegna delle raccomandate, quello di viale Santa Panagia, ormai al collasso. Code interminabili che partono dalla strada, si snodano per il percorso obbligato costituito da una sorta di serpentone stretto tra le inferriate e poi convogliato nel grande salone dove si accalcano cittadini sull’orlo di una crisi di nervi. Attese che a volta partono dalla mattina e proseguono al pomeriggio, con casalinghe, professionisti, operai e studenti che stringono in mano il tagliando col numeretto che regola la successione agli sportelli come se si trattasse di un biglietto vincente alla Lotteria.

A fare da filtro alla rabbia degli utenti spazientiti, i postini che con le loro casacche fluorescenti si allontanano in fretta dalla sede, additati dal pubblico furioso come coloro che le raccomandate preferiscono riportarsele indietro e lasciare un avviso nelle buche, piuttosto che consegnarle. «Ma ci mancherebbe – si mortifica Giancarlo, che il postino lo fa da tanti anni – la verità è che da 40 raccomandate al giorno, noi ormai ne dobbiamo consegnare un centinaio. Questo perché sono state eliminate le società provate di recapito. A Siracusa per 29 zone si muovono 35 di noi. Prima eravamo 65. Non è vero che non consegniamo il dovuto: ci sono cittadini che non rispondono, e poi si fa prima a consegnare che a stilare l’avviso, sa?».

E così, per tutte le raccomandate rimandate in ufficio, una torma di cittadini si preparano ad ore di attesa snervante, mentre dietro il vetro del banco si dannano due impiegati stravolti dalla mole di lavoro. «Accidenti – sbotta Sebastiano Accolla, 54 anni – lo sa che hanno detto che non ero in casa anche il giorno che ero in malattia? Io e mia moglie siamo stati con le orecchie tese perché attendavamo una raccomandata: niente da fare, abbiamo trovato l’avviso». Poi ironizza: «Forse ci preparano alle file per la pensione: ci sono persone che si fanno trovare qui alle 6 del mattino per evitare di stare in coda ore».

I numeri sfilano, arrivati a 100 si torna indietro, si ricomincia, e così Danilo Battaglia si addanna, lui studente, in fila da ore per ritirare un documento universitario, e Maurizio Spadaro, lavoratore autonomo, si rigira tra le dita il tagliando che lo pone 85 posti indietro ai suoi colleghi d’attesa: «Sono 2 settimane che vengo, aspetto 45 minuti e poi vado via a mani vuote, stressantissimo», o Marica Di Benedetto, 38 anni, che per una crisi di panico rinuncia e scappa via, «perché lì dentro è un inferno di gente infuriata, e la fila non avanza mai».

Tutta colpa di «un progetto che doveva essere sperimentale e invece è soltanto sbagliato» sintetizza Eugenio Elefante, segretario provinciale dei lavoratori postelegrafonici Cisl.

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