Siracusa. Chissà cosa direbbe Angelo Moratti – lui che nel 1949, dopo una vacanza in Sicilia, aprì la Rasiom, prima raffineria insediata in un lembo di paradiso lungo 30 chilometri – se sapesse che otto suoi “colleghi”, fra vertici e manager di due multinazionali, sono indagati per il nuovo reato di inquinamento ambientale.
E chissà cosa stanno pensando i familiari persone morte nel Siracusano – centinaia, in questi decenni, per patologie respiratorie e tumorali – dopo che i poliziotti hanno violato i templi delle ciminiere per mettere i sigilli a tre impianti del Petrolchimico.
Un «provvedimento senza precedenti» l’hanno definito. Di certo qui – e non siamo all’Ilva – lo è.
Qui, nel quadrilatero Siracusa-Augusta-Melilli-Priolo, dove le industrie da quasi settant’anni danno pane e veleni, posti di lavoro e croci al cimitero.
Qui, in questo luna park di tubi dove svettano ciminiere, con vista su una delle coste più belle della Sicilia, la magistratura interviene. Anche sostituendosi, come spesso accade, a chi doveva vedere e non ha visto e a chi doveva fare e non ha fatto. Interviene, con il sequestro preventivo di due impianti industriali: lo stabilimento Esso e quelli Isab Nord e Isab Sud.
E con l’iscrizione nel registro degli indagati, a vario titolo, per le ipotesi di reato di inquinamento ambientale e impedimento del controllo, di otto persone, fra i vertici amministrativi e i responsabili degli impianti di Esso e Isab.
I pm Margherita Brianese, Davide Lucignani e Marco Di Mauro, coordinati dal procuratore Francesco Paolo Giordano, al termine di un’indagine partita nel 2015, sostengono un «significativo contributo al peggioramento della qualità dell’aria dovuto alle emissioni degli impianti». Decisiva la consulenza tecnica collegiale di esperti di livello nazionale (fra i quali Mauro Sanna, chimico dell’Arpa del Lazio, e Nazareno Santilli dell’Ispra), arricchita da audizioni e da acquisizioni di dati e documenti. Il sequestro, disposto dal gip Michele Consiglio, è stato eseguito dal Nictas e dall’aliquota della Polizia della Procura.
Il giudice subordina la restituzione degli impianti «all’imposizione di prescrizioni per consentirne l’adeguamento alle norme tecniche vigenti».
Il gip ha dato 15 giorni di tempo alle società per decidere se aderire alle prescrizioni. Sia la Esso, che la raffineria impianti Sud dovranno ridurre le emissioni provenienti dall’impianto «con la copertura delle vasche costituenti l’impianto di trattamento acque». Dovrà essere presentato un progetto da realizzarsi entro 12 mesi, con garanzia fideiussoria. Gli stabilimenti Esso, Isab Nord e Isab Sud dovranno «effettuare il monitoraggio del tetto di tutti i serbatoi contenenti prodotti volatili o mantenuti in condizioni di temperatura tali da generare emissioni diffuse»; «realizzare impianti di recupero vapori ai pontili di carico e scarico»; «adeguare i sistemi di monitoraggio delle emissioni, attraverso l’adozione di sistemi di monitoraggio in continuo», mettendo a disposizione i dati registrati per via telematica all’Arpa di Siracusa. Solo lo stabilimento Esso dovrà ridurre le emissioni in atmosfera fino al rispetto dei livelli previsti delle migliori tecnologie disponibili, in particolare la riduzione degli ossidi di zolfo in due camini, e degli ossidi di azoto in 21 camini.
L’inchiesta scaturisce dai numerosi esposti e denunce di cittadini, ambientalisti ed enti sulla cattiva qualità dell’aria. Una pila di scartoffie accumulate sul tavolo del procuratore Giordano. Lo stesso magistrato che, a Caltagirone, ottenne il primo sequestro del Muos di Niscemi sfidando le ire degli Stati Uniti e che da quand’è a Siracusa fa tremare i palazzi della politica e della burocrazia con inchieste su corruzione e malaffare. E adesso c’è la “mal’aria”. Un tema delicatissimo. «Questa inchiesta – ripete – è una risposta alle innumerevoli istanze che sono arrivate dal territorio sin da quando io mi sono insediato nel settembre 2013. Abbiamo lavorato tantissimo, trovato esperti di livello nazionale con i quali abbiamo concertato le prescrizioni emanate». Ma il lavoro non finisce qui. In quest’ambito, in cui – dopo le presunte responsabilità dirette – si va a caccia di omissioni e coperture. Ma anche in altri fascicoli, a partire da uno, definito «molto corposo e delicatissimo», che riguarda gli effetti dell’attività industriale sulla salute dei cittadini. Sullo sfondo un lavoro ancora più embrionale sullo scempio della depurazione.
«Ci siamo sempre comportati in aderenza alle autorizzazioni che ci sono state rilasciate», assicura Claudio Geraci, responsabile risorse umane e relazioni esterne Isab. La società precisa che «i propri impianti sono e sono sempre stati eserciti nel pieno rispetto della normativa ambientale e delle relative autorizzazioni e prescrizioni alla medesima impartite dalle competenti autorità in materia». E la Esso, «convinta di avere operato nel rispetto della normativa vigente e delle autorizzazioni rilasciatele», sottolinea che «il provvedimento è subordinato a misure che sono allo studio dei nostri tecnici e lascia attualmente la raffineria nel suo normale assetto operativo».
[ha collaborato Francesco Nania]