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Sentenza Scieri, la mamma: “Ho aspettato 24 anni per conoscere la verità”

Il primo pensiero per il marito Corrado che se n’è andato nel 2011 convinto che Emanuele fosse stato aggredito

Di Massimiliano Torneo |

Il primo pensiero di Isabella Guarino, la mamma di Emanuele Scieri, dopo la sentenza di condanna a 26 e 18 anni di due ex caporali della Gamerra, Alessandro Panella e Luigi Zabara, per l’omicidio del figlio, è stato per il marito Corrado, mancato nel 2011, prostrato dal dolore e da quel muro di gomma che sembrava invalicabile, e tuttavia sempre convinto che quella venuta fuori ieri dal processo di primo grado, dopo 24 anni, fosse la verità. Che il loro Emanuele fosse stato aggredito.

“Mio marito era convinto che Emanuele fosse stato aggredito”

«Mio marito ne era convinto – dice – lui ci ha sempre creduto. Non ha mai accettato alcuna verità di comodo. Mi diceva “Isa, io sono convinto che Emanuele è stato aggredito, che non si è potuto difendere da questi che lo hanno circondato”. E, più o meno, pure la dinamica è quella, da quanto venuto fuori in un anno di processo di primo grado. Vittima dei “nonni”, Emanuele cercò di sfuggire alle loro angherie salendo sulla torretta asciugatoio dei paracadute, e lì fu raggiunto, fatto precipitare e lasciato a terra agonizzante per essere ritrovato morto dopo tre giorni.

“Abbiamo lottato tanti anni”

La notizia terribile, 24 anni fa, arrivò a mamma Isabella esattamente dove ieri è arrivata quella che sa di verità e giustizia: nella casa estiva di Noto. «Mi riscatta – aggiunge -. Era giusto che arrivasse questo momento, perché per tanti anni abbiamo lottato affinché venisse fuori questa verità. È una speranza che per anni abbiamo portato nel cuore: che ci fosse un giorno giustizia. Anche se ci sono stati momenti di scoramento e delusione per non essere stati creduti. Abbiamo trascorso anni di atroce sofferenza, non solo per la perdita di Emanuele, ma anche perché sembrava impossibile sfondare questo muro. Ventiquattro anni sono tanti per avere quel “chiarimento” che io chiesi subito ai comandanti».

Mamma Isabella è convinta che i vertici sapessero

Il primo incontro con i vertici dei parà, il comandante della Gamerra, Calogero Cirneco, e il comandante della Folgore, Enrico Celentano, a Pisa pochi giorni dopo il ritrovamento di Lele avvenuto il 16 agosto 1999: «A loro dissi subito: voglio sapere che cosa è successo a mio figlio. Rimasero senza pronunciare una parola. Ho dovuto aspettare 24 anni prima che qualcuno mi dicesse com’era morto». Mamma Isabella è convinta che i vertici sapessero: «Non avrebbero perso l’onore se avessero detto la verità. Loro non potevano non sapere. Sparisce un ragazzo, in un contesto di soprusi e angherie che conoscevano e non sapevano?».Celentano è stato assolto in abbreviato dall’accusa di favoreggiamento, come un terzo accusato di omicidio insieme a Panella e Zabara, Andrea Antico: la Procura ha impugnato quelle sentenze di assoluzione.

L’ultima telefonata con Emanuele, era appena arrivato

L’ultima volta che mamma Isabella sentì il suo Emanuele: «Quella giornata del 13 (agosto ’99, poche ore dopo Lele verrà ucciso ndr) l’ho sentito alle 8 e mezza di sera, era arrivato a Pisa dal Car ed era già alla prima libera uscita, sotto la Torre. Poi l’indomani, il sabato, quando l’ho richiamato…». Qui la voce si smorza. Il telefono era spento. Ora sappiamo che Lele era già morto.

Il procuratore che ha riaperto le indagini

Il secondo pensiero di mamma Isabella è per il procuratore di Pisa Alessandro Crini che nel 2017 ha riaperto le indagini con il materiale raccolto dalla commissione parlamentare presieduta dalla deputata siracusana Sofia Amoddio. Crini la chiamò: «È stato bravissimo – afferma – perché finalmente ha indagato in maniera seria. Ho capito subito che avevo a che fare con una persona che veramente indagava per la giustizia, che si era aperto uno spiraglio, che nella magistratura ci fosse gente capace e vogliosa di indagare per trovare e perseguire i colpevoli. Mi rassicurò che avrebbe fatto di tutto per fare giustizia. Non si tratta solo di giustizia a una famiglia ma anche alla società. Che ha diritto di sapere la verità».

Il fratello di Lele era a Pisa per la sentenza

Il fratello di Lele, Francesco, era a Pisa alla lettura della sentenza: «Ci sono stati momenti di scoramento in questi anni. Per fortuna c’è stata la commissione parlamentare d’inchiesta e lì si sono aperte le speranze. Ma non è stato semplice dopo tutti questi anni».Per il sindaco di Siracusa, Francesco Italia, quella di ieri «è stata una bella giornata per tutta la nostra comunità e per quanti non si sono mai arresi: per la famiglia di Lele, innanzitutto, per i suoi amici, per gli avvocati di parte civile. A loro va il nostro grazie per avere tenuta sempre accesa la fiammella della speranza; e un grazie va alla commissione parlamentare d’inchiesta fortemente voluta e presieduta da Sofia Amoddio che, con il suo straordinario lavoro, ha fornito alla Procura nuovi elementi per istruire il processo».

Gli amici di “Giustizia per Lele”

Ultimi non ultimi gli amici, sin da quell’agosto ’99 costituitisi in associazione Giustizia per Lele: «Ho pianto per un’ora dopo la sentenza – ha esordito Carlo Garozzo, amico e presidente dell’Associazione -. Abbiamo combattuto nonostante le mortificanti archiviazioni passate. A fianco della famiglia che ha affrontato un dramma simile con eleganza e compostezza. Questo è l’inizio. Confido anche nell’appello alla assoluzioni in abbreviato. Questa sentenza conferma un omicidio e apre le porte per individuare le altre responsabilità, più alte e importanti».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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