Siracusa
Il “terremoto di Santa Lucia”, i morti e la ferita aperta trent’anni dopo
Siracusa – «Non sarà un altro Belìce», disse l’allora presidente della Regione siciliana, Rino Nicolosi, a conclusione di una riunione di oltre tre ore alla Prefettura di Siracusa. Era il primo febbraio del 1991 e i sindaci dei comuni del Siracusano, fra i più colpiti dal sisma del 13 dicembre 1990, chiedevano interventi urgenti per la sistemazione dei senzatetto e, soprattutto, di accelerare l’iter per la ricostruzione. L’entità dei danni provocati dal sisma, passato alla storia come “Terremoto di Santa Lucia”, in quei giorni fu calcolata all’inizio in 500 miliardi di lire ma, con la constatazione dei danni al patrimonio edilizio pubblico e privato, l’entità dei danni lievitò di parecchio. Quel terremoto venuto dal mare, pur classificato di media entità dagli studiosi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che registrarono quella notte un sisma di 5.7 di magnitudo, provocò ingenti danni e la morte di 17 persone, 12 delle quali a Carlentini, dove alcuni edifici si sbriciolarono inghiottendo tra le macerie intere famiglie.
L’attenzione e la preoccupazione della comunità scientifica fu subito rivolta al polo petrolchimico di Priolo, Augusta e Melilli, dove non si registrarono danni. Il prefetto Alvaro Gomez y Paloma, nominato dal ministro per la Protezione civile, Vito Lattanzio, commissario per le zone terremotate, ottenne la riduzione degli stoccaggi e la messa in sicurezza degli impianti. C’era il timore di una replica catastrofica. La replica avvenne la domenica del 16 dicembre alle 14.50 con una scossa del 3.9 della scala Richter e alla Protezione civile tirarono un sospiro. In quei giorni furono mobilitate più di duemila unità tra militari, vigili del fuoco, croce rossa, volontari e personale civile, che dovettero faticare facendo i conti anche con le avverse condizioni meteo (25 giorni di pioggia su 93 giorni di lavoro). Si contarono 11.117 senzatetto, di cui 682 alloggiati nelle scuole, oltre 2mila nelle strutture alberghiere, 1600 nelle roulotte, 1500 nelle tende mentre quasi 9mila persone trovarono altre sistemazioni di fortuna. A marzo del 1991 scoppiarono le proteste di piazza. In quindicimila si riversarono a Siracusa per manifestare contrarietà per le promesse non mantenute sull’avvio della ricostruzione. La protesta si spostò anche sulle strade, con blocchi all’altezza della statale 114 per Catania, durati per diversi giorni.
Il 30 maggio il Consiglio dei ministri varò un disegno di legge che stanziava 4mila miliardi di lire per gli interventi nelle zone colpite dal sisma ma quel disegno di legge tardò a essere tramutato in legge e così, con la prospettiva di trascorrere un altro inverno nei container, nel mese di ottobre riecco montare la rabbia dei terremotati con altri blocchi stradali e ferroviari, l’occupazione di municipi dei paesi più colpiti dal sisma. Fu quella spinta popolare a convincere il ministro per la protezione Civile, Nicola Capria, a varare la normativa passata alla storia come legge 433/91 con una donazione di 3mila e 870 miliardi di lire. Trascorsero ancora altri mesi prima della registrazione dei decreti attuativi da parte della Corte dei conti che aveva bocciato la legge perché priva della copertura finanziaria. Nel 1993 arrivarono i primi fondi. Con quella dotazione finanziaria, fu possibile eseguire tutti gli interventi previsti dalla legge e nel giro di pochi anni le famiglie senzatetto hanno potuto accedere in case nuove o sistemare le proprie.
Nel 2010 fu necessaria la rimodulazione dei fondi della 433 che lo Stato ha trasferito alla Regione siciliana. Ancora oggi di quei quasi 4mila miliardi di lire vi è ancora la disponibilità di circa 150 milioni di euro che la Regione siciliana ha inserito in un progetto di riprogrammazione degli interventi. Per avere la certezza dei fondi disponibili occorre, però, fare il conteggio delle somme non rientrate, vale a dire di quei soldi destinati al recupero o agli interventi di consolidamento sismico di diversi edifici pubblici nelle province di Catania, Siracusa e Ragusa, che non sono stati ancora utilizzati.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA