«Devo far causa all’onorevole locale (il deputato palermitano di Italia viva, Michele Anzaldi, ndr). È stato lasciato intendere che io abbia agito per interesse personale, una cosa gravissima. Una roba da denuncia». Finirà, dunque, a carte bollate la polemica che sta investendo da giorni il programma televisivo di Rai3 Il Borgo dei borghi. A annunciarlo è Philippe Daverio, che da giurato di quel concorso televisivo è finito sul banco mediatico degli imputati e oggetto di interrogazione in commissione di Vigilanza.
L’antefatto oramai è noto. Sotto attacco è finito Daverio per l’epilogo del programma. Il titolo di “più bel borgo d’Italia” è andato a Bobbio, paesino medievale sulle rive del fiume Trebbia, in Emilia Romagna. Secondo è arrivato Palazzolo Acreide, centro barocco del Siracusano, patrimonio Unesco. Solo che Palazzolo era stata scelto dal televoto (42%) e a pesare sull’esito finale è stato il voto della giuria composta, tra gli altri, dal critico d’arte Daverio. Che nel 2018 era stato insignito di cittadinanza onoraria di Bobbio. Apriti cielo. A protestare per primo il sindaco di Palazzolo Acreide, Salvatore Gallo, che sul suo profilo social pubblicava la delibera del Comune di Bobbio che conferiva cittadinanza onoraria a Daverio.
A metterci il carico, il deputato siciliano di Italia viva, Michele Anzaldi, segretario della commissione parlamentare di Vigilanza. Su Facebook annunciava l’interrogazione: “È stato opportuno dare l’ultima parola su una competizione in onda nel servizio pubblico a chi, come Daverio, non ha fatto mistero di parteggiare per un preciso concorrente? Daverio ha mai ricevuto denaro da istituzioni ed enti territoriali per la “valorizzazione” di Bobbio? Se sono stati commessi errori e ci sono state connivenze, chi ha sbagliato deve pagare”. Parole che Daverio a La Sicilia dice di ritenere gravissime: “Gli faccio causa – dice – in difesa della mia onorabilità . Ci rendiamo conto – prosegue – di cosa voglia dire mettere in circolo questo sospetto? Io non posso permettermi di passare per quello che ha degli interessi propri da difendere. È orribile. Il sospetto che mi faccia pagare se parlo di un luogo o dell’altro”. E dice “pagare” alla Daverio, tra lo schifato e l’addolorato.
Da questo contrattacco salva il sindaco: “Lui lo posso comprendere – dice – I sindaci devono fare quella cosa lì, lo capisco benissimo: deve difendere i suoi luoghi, è anche bello che sia così. Gli fa onore. Anche se andasse fuori dalle righe, non è grave”. Non salva la Sicilia, e lo fa con il gusto letterario del paradosso. Alla domanda se si aspettasse una polemica simile risponde infatti così: “A dir la verità dalla Sicilia mi aspetto di tutto: sono stato siciliano, con la cattedra all’Università a Palermo, per 16 anni. Quindi conosco bene la Sicilia e la sua infinita perversione mentale, nonché l’inclinazione a sentire ognuno dei proprio luoghi ombelico del mondo. Questo incrocio di complessi di superiorità e di inferiorità è una delle patologie locali, irrisolvibili. Dalle quali esula anche il diritto”.
Entra nel merito come obbligato a commentare un fatto surreale: “Sollevano l’opportunità che un componente della commissione del programma fosse cittadino onorario: questa non è solo una sciocchezza, è una cagata. Cittadino onorario non vuol mica dir niente. Lo sono anche di tante altre città. Pensare che questo possa avere influito nel mio giudizio è la contorsione totale della psiche barocca. Astenersi dal voto – prosegue – perché sono cittadino onorario? Non esiste la figura del cittadino onorario. Non corrisponde a alcuna rilevanza di diritto. È come se a uno danno la laurea in Ingegneria honoris causa: non vuol dire che quello può aprire uno studio di ingegnere”.