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Dipendente ospedale, in malattia per trauma al ginocchio, “saltellava al mare a Marzamemi”

Di Mario Barresi |

Questo non è il solito racconto da antologia dei furbetti del cartellino. È una storia più amara, ma forse più tragica; seppur filtrata dall’acume e dall’ironia di chi ce l’ha raccontata.

Qual è l’identità della voce narrante? Vuole restare anonimo. Ne ha tutto il diritto. E fra un po’ si capirà il perché. Soltanto un indizio: è un personaggio di primissimo piano della medicina siciliana, con decenni di prestigiosa carriera alle spalle. Per tutto il resto – sulla veridicità dell’episodio e sul fatto che non finirà solo su questa pagina di giornale – garantiamo noi.

La premessa è meteo-statistico-antropologica: «Dopo ormai tanti anni di dirigenza medica mi è chiaro un andamento stagionale di varie patologie, che coinvolgono in particolare alcune professioni e che a mio avviso richiederebbe un approfondimento scientifico da parte di medici legali, medici del lavoro, gli uffici previdenziali e, dato l’andamento francamente ciclico, gli epidemiologi. Mi riferisco in particolare al fatto che con l’approssimarsi della stagione estiva, analogamente alle feste comandate, aumenta in misura evidente il numero di assenze per malattia del personale dipendente».

Poi si entra nel vivo. «È vero che in estate aumentano le escursioni, le gite, le uscite, le cene a base di frutti di mare e quindi il fisico è più esposto ai vari possibili traumi e malattie. È altrettanto vero che lo stesso personale – ad esempio assente per trauma al ginocchio, per citare l’ultimo episodio di cui sono stato osservatore – viene visto saltellare sugli scogli di Marzamemi senza alcuna apparente limitazione. Che disgrazia, proprio ieri ho appreso che l’Inail ha prolungato di un mese tale invalidità».

È tutto vero. Il «personale» (né maschile né femminile, ma neutro per un misto di signorilità e tutela della privacy), assente dal posto di lavoro per malattia era a «saltellare sugli scogli di Marzamemi». Senza alcun apparente problema legato alla momentanea invalidità (il trauma al ginocchio) e con la prospettiva di godere di questa malattia in versione wellness per almeno un altro mese, visto la proroga – con ulteriore certificato medico – dell’Inail.

Qui finisce la cronaca. Che magari avrà un seguito, dopo i dovuti controlli delle autorità sanitarie. E non solo.

A questo punto spazio anche alle riflessioni del nostro interlocutore. «Tutto questo mi porta indietro col pensiero e mi fa ricordare di aver per caso preso visione di un documento da cui se non vado errato si evinceva che circa il 30% del personale della mia azienda ospedaliera, e a questo punto penso di molte altre, era affetto da patologia con limitazioni di vario grado e tipo tali da inficiare il ruolo stesso cui il personale è demandato». Con una nota a margine: «Curiosamente la maggioranza degli invalidi non era composta da medici ma da personale di comparto. Quindi nel pubblico impiego sembrerebbe esistere una stratificazione del rischio “categoria-dipendente” che meriterebbe forse una pubblicazione scientifica a livello internazionale richiamando anche l’attenzione degli epidemiologi sul fatto che il Sud è più cagionevole del Nord, grazie anche al contributo misericordioso di una parte della classe medica che valuta i pazienti con profondo senso di comprensione per le sofferenze altrui».

Un’altra stilettata. Che fa sorridere e riflettere allo stesso tempo, con la medesima amarezza. E prosegue sempre sul filo tragicomico: «Sfido chiunque all’età di 50 anni, e nel caso del povero personale dipendente malato anche in età più giovanile, a non avere una qualche patologia discale o vertebrale, tale da impedire il lavoro. Il problema però nasce quando lo stesso personale con documentate limitazioni fisiche poi pratica sport, solleva sul cavalletto motociclette anche di grossa cilindrata, pratica sport di vario genere e tipo, porta i pacchi della spesa e quant’altro. Ecco una ulteriore chiave di lettura epidemiologica che dovrebbe essere di pubblico dominio nel mondo scientifico: la “patologia limitante l’attività fisica, ma solo nel lavoro”».

E allora? «Tutto questo fa francamente rabbia perché non esiste alcun modo di intervento e ogni possibile soluzione sbatte contro un muro di gomma. La classica frase, ”che ci vuole fare”, “non possiamo intervenire”, “il dipendente si è presentato con l’avvocato”, mi fa ricordare – racconta la nostra fonte – quando agli inizi della mia dirigenza, oltre 15 anni addietro, feci passare un foglio di firma delle presenze, si scoprì che durante il proprio servizio un medico era a casa sua, fu richiamato, penso da altro personale compiacente e complice, e a una mia contestazione scritta mi fece scrivere minaccioso dal proprio avvocato». Ma c’è anche un altro aneddoto in tema, «quando parecchi anni fa due altri dipendenti litigavano fra di loro e chi dei due accusava l’altro era poi reo di aver avuto un incidente in auto mentre risultava in servizio, e aveva chiesto proprio alla controparte con cui disputava di “timbrargli l’uscita”…».

Così fan tutti? No, p er fortuna. «Accanto a questa categoria, che in fondo rappresenta solo una piccola percentuale dei dipendenti, esiste il contraltare, rappresentato – dice il nostro “testimone” in un rito quasi catartico e liberatorio – da quanti colleghi sani o con vere invalidità o limitazioni ma grande motivazione interiore, si sobbarcano di un duro lavoro quotidiano, compensando le carenze dei propri colleghi, a vantaggio dell’utenza e dei pazienti bisognosi senza guardare alle fatiche e ai carichi di lavoro cui sono sottoposti». Straordinari eroi normali. «A essi vanno il personale ringraziamento e l’ammirazione di quanti, e sono tanti, trascorrono parecchio del loro tempo lavorativo a cercare di coprire i turni mancanti e garantire i minimi livelli assistenziali, carenti per colpa di un sistema che oggi protegge prevalentemente il posto di lavoro e non il lavoro».

Il racconto-sfogo finisce qui. Ci riserviamo qualche riga. Per una considerazione e un appello. La Regione spende in sanità circa la metà del suo bilancio: 4,5 miliardi è la compartecipazione al fondo sanitario nel preventivo 2018. Soldi in gran parte (2,7 miliardi) impiegati per il costo del personale. Quindi i giorni (o le settimane, fossero anche i mesi) di lavoro “rubati” da chi se la gode al mare mentre è in malattia dall’ospedale sono una voce infinitesimale per il Servizio sanitario regionale. Eppure questa non è una questione di quantità, ma di dignità. Quindi – e qui veniamo all’invito – l’assessore alla Salute, Ruggero Razza, già in trincea nella lotta alla corruzione (appalti, nomine, concorsi e ingerenza della politica), da oggi dovrebbe assumere un altro impegno. Quello di garantire, nell’ambito delle sue competenze – che purtroppo in materia non sono esclusive – il massimo livello di guardia sui “furbetti del certificatino”. Che sono, con una filiera alle loro spalle, le prime cellule cattive del malaffare in corsia. E vanno debellate.

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