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La decisione

Depuratore di Priolo, si riapre il caso: il giudice stoppa ancora l’attività delle raffinerie

Per i magistrati «non c’è bilanciamento tra salute e industria». Risolvere la vicenda sarà ora compito del governo

Di Luisa Santangelo |

«Il giudice non autorizza la prosecuzione dell’attività produttiva così come previsto dal decreto interministeriale del 12 settembre 2023». Se c’è una cosa su cui si può sempre contare è che il processo per disastro ambientale sul depuratore IAS (Industria acqua siracusana) di Priolo Gargallo riservi qualche novità. L’ultima la firma il giudice per le indagini preliminari Salvatore Palmeri che tenta, di nuovo, di mettere uno stop ai conferimenti dei reflui delle raffinerie del polo petrolchimico di Siracusa nell’impianto biologico consortile, sotto sequestro da più di due anni.

I magistrati bocciano il provvedimento governativo

Succede ancora: i magistrati aretusei, compatti, contro un provvedimento del governo nazionale. Stavolta confortati dalla sentenza della Consulta, che ha definito incostituzionale una norma del cosiddetto decreto “Salva Ilva”, necessario a salvare anche IAS spa (e, di conseguenza, la produttività del petrolchimico tra Priolo, Melilli e Augusta). In particolare, la Corte Costituzionale ha contestato la mancanza di limiti temporali all’articolo che, modificando il codice di procedura penale, stabilisce che «il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se […] sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento» tra la tutela di industria, lavoro, salute e ambiente. «La Corte Costituzionale – ricorda adesso il gip – ha emesso una sentenza “additiva”, introducendo un termine di durata massima delle cosiddette misure di bilanciamento che non possono applicarsi per un periodo superiore ai 36 mesi».

Troppe deroghe, azione amministrativa «illegittima»

La questione dei limiti temporali, però, non è la sola parte importante della sentenza su un caso che lo stesso relatore ha definito, più volte, particolarmente complesso. In conclusione della sua pronuncia, la Corte ricorda che il “decreto bilanciamento” – firmato dai ministeri dell’Ambiente e del Made in Italy – è un «provvedimento che resta di natura amministrativa, e come tale soggetto agli ordinari controlli giurisdizionali». Il giudice, cioè, può scegliere di disapplicarlo. Ed è quello che fa il gip di Siracusa, concordando con la procura. I pm, all’inizio di luglio, avevano chiesto al giudice di «non autorizzare la prosecuzione dell’attività (l’immissione dei reflui nel depuratore IAS da parte dei Grandi utenti), considerandosi illegittima l’azione amministrativa», poiché il decreto introduce «significative deroghe» al Testo unico ambientale, il libro sacro delle normative da rispettare per la tutela dell’ambiente.

Un «freno d’emergenza» invocato dai giudici costituzionali

La mancata autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di IAS in relazione ai Grandi utenti industriali è il «freno di emergenza» invocato dai giudici costituzionali e spinto fino in fondo dai magistrati siracusani. «Nel caso di specie non ricorrono le condizioni […] per ritenere operante una legittima procedura di bilanciamento degli interessi in gioco», si legge nel provvedimento del giudice. Il quale rileva, inoltre, che «non ci sono concrete misure gestionali adottabili al fine di mitigare il rischio per la salute e per l’ambiente» derivante dal fatto che il depuratore è ritenuto dai magistrati inadatto a trattare i reflui industriali di Isab, Sonatrach, Sasol e Versalis. Se lo fosse, l’Autorizzazione integrata ambientale di IAS non conterrebbe un lunghissimo elenco di prescrizioni già ritenute «del tutto inesigibili» dall’amministrazione giudiziaria. Non ci sarebbe stata, poi, nemmeno una «adeguata attività istruttoria» che portasse al decreto bilanciamento, perché non è stato chiarito «in esito a quale procedimento» siano state adottate le misure, «con quali garanzie di pubblicità e partecipazione da parte del pubblico». Infine, conclude il gip, c’è la questione dei controlli. Una faccenda già sollevata in sede di ricorso alla Corte Costituzionale. Era stato l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), chiamato in causa dai ministeri, a dire – ad agosto 2023 – di avere difficoltà operative a eseguire i controlli richiesti.

I legali delle raffinerie pensano già a un ricorso

Insomma, conclude il giudice, «non ricorrono le condizioni per autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva». La pedina torna, dunque, alla casella di partenz: le raffinerie devono sganciarsi dal depuratore IAS. Rispetto al passato, però, c’è una grande differenza: questo provvedimento del gip può essere impugnato direttamente dalla presidenza del Consiglio dei ministri, dal ministero dell’Ambiente e da quello del Made in Italy. Oltre che, naturalmente, dai colossi del petrolchimico. Lunedì i pool legali delle raffinerie dovrebbero incontrarsi per discutere di un eventuale ricorso, da fare al tribunale di Roma. Senza contare che a decidere il da farsi dovrebbero essere anche Giorgia Meloni, Gilberto Pichetto Frattin e Adolfo Urso. Nel frattempo, come da due anni a questa parte, il tema è di nuovo uno: se il depuratore IAS, secondo l’accusa, non funziona, allora le raffinerie devono smettere di sversarci dentro i propri reflui pericolosi. E, se non possono sversare da nessuna parte, in attesa di costruirsi i propri depuratori, non possono neanche restare accese. Se lo fanno, il presunto reato per cui c’è un processo agli inizi – è alla fase dell’incidente probatorio – sarebbe ancora in atto. Il disastro ambientale, cioè, starebbe continuando.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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