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«Vivevo a Singapore ma sono tornato perché volevo dare di più alla mia Sicilia»

Di Maria Ausilia Boemi |

Giuseppe Rizzo a Singapore arriva con una borsa di studio Ue. In precedenza, dopo il liceo a Caltagirone, si era laureato in Giurisprudenza a Roma e aveva quindi trascorso un anno tra Nuova Zelanda e Australia: «Lì – racconta – ho lavorato in catering, in logistica e ricerca di cibo oppure nelle fattorie, dove mungevo le vacche, pascolavo gli agnelli, lavoravo con gli agricoltori. Il cibo è sempre stato la mia passione, mi fa battere il cuore». Nel settembre 2011 sposa la moglie Fawn, psicologa di Singapore (conosciuta in Argentina durante il periodo di ricerca per la tesi, e con la quale ad agosto diventerà papà per la prima volta con la nascita della piccola Matilde) e torna a Roma, dove frequenta la scuola di magistratura e resta fino all’inizio del 2014.

È allora che Giuseppe Rizzo “sbarca” a Singapore, avendo vinto con la moglie una borsa di studio Ue supportata dalla Regione Lazio per studiare il panorama delle imprese sociali tra Singapore e Indonesia. «In quel momento a Singapore – spiega – le imprese sociali, che combinano il business col sociale, erano in forte crescita: ho lavorato per un’impresa sociale che si occupava di riduzione della povertà energetica in Indonesia attraverso il “woman empowerment” (l’emancipazione delle donne) nei villaggi rurali dell’Indonesia. La parte strategica e di business, con gli aspetti legali di cui mi occupavo io, era a Singapore, mentre in Indonesia mia moglie insegnava a queste donne a fare business con l’energia solare, per ridurre la povertà energetica. In Indonesia, infatti, una persona su 5 non ha elettricità: lì usano il cherosene, che è molto inquinante e sta avvelenando i bambini. Con questo progetto, noi fornivamo alle donne delle lampade resistenti a energia solare, adatte ad ambienti rurali, e loro le commercializzavano in queste aree, diventando imprenditrici e allo stesso tempo facendo diminuire la povertà energetica del Paese attraverso l’utilizzo di energia pulita. Questo progetto è durato 8 mesi. Nel frattempo, mentre ero a Singapore, quando uscivo dall’ufficio cercavo di capire cosa avrei potuto portare del cibo siciliano in quella metropoli: ho fatto questi studi e, una volta terminato il progetto della borsa di studio, ho iniziato a casa, comprando un forno, a produrre focacce».

 

Un business che ha riscosso ben presto un grandissimo successo («Fornivamo le focacce a Linkedin, abbiamo partnership con banche, mercati, forniamo supermercati Gourmet»), anche supportato dalle indagini di mercato che Giuseppe Rizzo portava nel frattempo avanti per capire il rapporto, le esperienze e le aspettative sul cibo degli abitanti di Singapore.

Ben presto la produzione casalinga non era più sufficiente a soddisfare la domanda e il giovane siciliano ha quindi preso in affitto un laboratorio: focacce siciliane fresche, condite quando possibile con i prodotti isolani, e pasta fresca realizzata con grani antichi siciliani erano i prodotti in vendita. Erano, perché in questo momento «la produzione del fresco è stoppata per la difficoltà di reperire persone affidabili per il lavoro». Non perché a Singapore non esistano persone serie, ovviamente, ma perché quello è un Paese – anche se può sembrare fantascienza in Italia – in cui la disoccupazione è inferiore al 2%: «Inoltre – sottolinea Rizzo – non posso assumere italiani se prima non assumo almeno 5 persone del luogo, oltre a dovere garantire uno stipendio minimo mensile. Insomma, una situazione un po’ complicata, soprattutto per una start up. Al momento, quindi, la produzione del fresco è stoppata e lavoriamo – con due dipendenti del posto a Singapore – con prodotti confezionati: farine e pasta. Abbiamo scelto grani antichi di Sicilia e un pastificio artigianale vicino a Caltagirone per realizzare, con la nostra ricetta, la nostra pasta che esportiamo a Singapore: per i grani antichi siciliani siamo il punto di riferimento, anzi gli unici operatori a Singapore».

Giuseppe Rizzo e la moglie sono per ora «in Sicilia, perché stiamo lavorando da vicino con produttori di grano, in particolare del Modicano, per entrare nel territorio siciliano e riprendere poi quello che abbiamo iniziato a Singapore, in maniera più visibile e più vicina al nostro territorio».

Il progetto è creare una propria identità radicata in Sicilia, per poi poterla proporre anche fuori dalla Sicilia. «Per questo – spiega – stiamo creando non un locale, ma un posto (che dovrebbe essere avviato in autunno) che funga da connessione tra il territorio e il grano. Vogliamo che la nostra base di partenza sia in Sicilia, per poi tornare senza dubbio a Singapore e vedere quali altre prospettive si presentano. Stiamo cercando ad esempio di entrare anche su Hong Kong, ma ovviamente ci vuole un po’ di tempo: noi, comunque, siamo pronti per i mercati internazionali. La nostra strategia è creare come punto di partenza un’identità che sia radicata nel territorio dove sono le materie prime: i nostri grani sono qui, non a Singapore, per cui il nostro punto di inizio deve essere nella nostra terra».

Certo, le difficoltà non mancano e tanti hanno definito la scelta di rientrare in Sicilia, senza mezzi termini, una vera e propria pazzia. «Le imprese siciliane – parliamo di piccoli produttori, di piccole realtà locali che producono eccellenze – non sempre sono pronte ad aprirsi ai mercati esteri: hanno paura che esportare sia troppo difficile, che i costi siano eccessivi, non sanno a chi rivolgersi per fare un packaging di un certo tipo, la vedono come qualcosa di più grande di loro. Qua in Sicilia, per esempio, non si riesce a comunicare a distanza, in modo organico ed efficace, attraverso le email: magari non si fidano, i siciliani siamo fatti così, ma nel mondo imprenditoriale bisogna essere un po’ più aperti. Bisogna quindi stare loro veramente dietro: quello che cerchiamo di fare è creare un ecosistema che ci dia sostenibilità nel futuro all’estero. Se noi iniziamo a Singapore, avremo sempre un gap importante da colmare: abbiamo allora scelto di farci conoscere sul territorio, creandovi una bella squadra e un ecosistema vivace e pronto a crescere in modo sostenibile in un secondo momento».

Forse in questa scelta ha pesato anche la sofferenza che il siciliano Rizzo ha vissuto a Singapore, dove gli sono mancati «anzitutto i rapporti umani, il modo di manifestare l’affetto, vivere le emozioni, condividere la vita, avere persone vicine. A Singapore – ammette – i rapporti umani sono molto difficili: là sono presi da mille impegni, bastano a loro stessi, ognuno è per i fatti suoi e non ha bisogno dell’altro: c’è un forte senso di comunità, che non si ripercuote poi però nei rapporti interpersonali. Qua senti il bisogno di avere un’amicizia vera, profonda, di condividere la tua vita con gli altri, raccontare un episodio della tua giornata a una persona. Quella di Singapore è inoltre una società capitalista pura, per cui lo status delle persone è ben chiaro ed è dato dal lavoro che svolgono. All’inizio ho avuto enormi difficoltà a essere riconosciuto, non solo dalla società, ma persino dai familiari di mia moglie, per quello che facevo».

Di contro, però, Rizzo ha trovato «persone curiose, animate dal desiderio di provare nuove esperienze, interessarsi di altre culture, con una buona apertura mentale e, soprattutto, molto corrette: se si lascia un portafoglio sul tavolo, nessuno lo tocca. Là, inoltre, vige una grande meritocrazia e l’assoluto rispetto per le diverse etnie».

Nei progetti di questo giovane entusiasta, quindi, c’è la Sicilia, ma anche il resto del mondo: «Voglio dividere il mio tempo tra la Sicilia e il mondo. In Sicilia ci voglio stare perché voglio garantire a mia figlia la possibilità di fare un domani qualcosa anche in Sicilia. Non mi sento di estraniarla da questa terra: lei se la deve godere e contribuire a farla crescere. Essenzialmente io sono tornato anche per questo motivo: non sentivo che stavo contribuendo in modo efficace alla crescita della mia terra soltanto vendendo alcuni prodotti della Sicilia. Io volevo contribuire alla mia terra in modo più impattante e sostenibile per il futuro. La sfida per me è questa: non solo andarsene e non tornare più».

Coerentemente, di conseguenza, Rizzo consiglia ai giovani di «arricchire le proprie esperienze, crearsi un proprio bagaglio confrontandosi col mondo, con ambienti diversi da quelli in cui si è cresciuti, prendere il meglio di tutto ciò e poi, rimanendo in connessione con questi mondi e vissuti, portare questo bagaglio ed esperienze nella propria terra. Ne abbiamo tanto bisogno: non si può pensare solo di avere trovato lavoro all’estero e rimanere lì. Ai giovani, quindi, consiglio quello che sto cercando di fare io: andate fuori e cercate di scoprire come potete aiutare questa terra sulla base delle vostre esperienze. Quindi, tornate a casa: non per “vendere” la Sicilia, ma per presentarla al mondo».

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