Vinicio Capossela: “La Sicilia è parte di me, è la mia famiglia”

Di Giuseppe Savà / 05 Novembre 2023


Se facessero la contravvenzione al Cristo Risorto. Il giorno in cui gli evangelisti apocrifi dovessero scegliere un collega, Vinicio Capossela sarebbe fra i candidati più credibili. Reduce dalle tre tappe siciliane della sua tournée, alla domanda su «qual è il tuo rapporto con la Sicilia?» Vinicio sobbalza dalla sedia: «Il mio rapporto con la Sicilia? È come se mi chiedessi quale è il rapporto con mia madre, con qualcuno che fa parte della mia famiglia!». Sorride e inanella il rosario della memoria: «La prima volta che ho messo piede in Sicilia è stato nel 1995 ed era anche la prima volta che facevo i concerti in Sicilia. Feci tre concerti, sotto il Pilone, a Punta Torre Faro a Messina, alla Tonnara Florio e al Cortile Platamone di Catania dove incontrai una persona, un artista che è diventato anche un carissimo amico, Jacopo Leone. Con lui abbiamo condiviso l’immaginario da allora fino a oggi. È anche l’autore della copertina del mio ultimo disco, ed è stato per me una chiave di accesso che mi ha permesso di vedere tante cose che non avrei mai visto, anche di prestare orecchio a cose che non avrei mai udito». Parla di immaginario Vinicio, e in questo immaginario c’è anche un bestiario poetico tra meduse e minotauri, marinai suicidi e cristiani nell’arena, che diventa Bestiario d’Amorein un album del 2020.


In questo viaggio immaginifico in Sicilia, negli ultimi 28 anni c’è un altro personaggio legato a Vinicio a doppia mandata. «Ci sono altri amici carissimi come Carmelo Chiaramonte, cuciniere, lui è una di quelle persone che nel corso di tutti questi anni mi hanno permesso…» e qui Vinicio si interrompe di colpo. «Vedi, ci sono episodi diretti e episodi indiretti – precisa il cantautore irpino, nato in Germania, vissuto a Reggio Emilia, oggi adottivo di Milano – Con Carmelo c’è una grande amicizia anche familiare, è un uomo che ha una lettura poetica della realtà, ma ci sono stati altri e diversi episodi diretti di collaborazione e di affaccio a tutto un tutto un mondo della Sicilia»
Mi fai un esempio di affaccio sulla Sicilia?
Ad esempio Roy Paci con la sua Banda Ionica, nel 2001, mi ha coinvolto in un progetto da cui è nata la canzone “Santissima dei naufragati”, una preghiera laica dove, di fronte al naufragio in mare di anime innocenti, invoco la “Matri mia”, espressione siciliana per indicare la Vergine. E poi ci sono stati pezzi direttamente ispirati a tradizioni siciliane, come la “Marcia del Camposanto”, che narra l’ultimo viaggio del defunto, e, passando da morte in vita, naturalmente la canzone “L’Uomo Vivo, Inno al Gioia”, ispirata dal Cristo Risorto di Scicli, una storia che tu conosci meglio di me per aver vissuto la gestazione di quella canzone dal 2004 al 2006.


Che storia è la storia del Cristo Risorto “Gioia” e “Uomo Vivo” di Scicli”?
In quella occasione ho cercato di restituire in forma di canzone la forza dirompente e così simbolica della processione del Cristo Risorto di Scicli che è insieme un Inno alla Resurrezione e alla affermazione della Vita sulla Morte. Questa canzone ha incrociato, in tutti questi anni, di fronte a qualsiasi pubblico, italiano o estero, il sentimento della Gioia, una forza che viene da quella tradizione religiosa locale e che tuttavia abita chiunque riesca a trovarsi a tiro. Ecco è un pezzo che è diventato universale pur partendo da una cosa ultra locale. E non a caso è il brano con cui si conclude questo spettacolo che attraversa tante urgenze, tanti pericoli, tante grazie. “L’Uomo Vivo” è sempre un pezzo che permette di affermare il senso profondo della vita.
Dicevi che il legame con la Sicilia è diretto in questi casi e indiretto in altri. Mi spieghi cosa vuol dire?
Gli episodi indiretti possono essere quelli della canzone “All You Can Eat”, che ho pubblicato quest’anno nell’album “Tredici canzoni urgenti”. Pensa a come si stanno trasformando le città, ad esempio quelle con vocazione al turismo anche della Sicilia. Se uno va oggi a Catania vede che la strada è quasi scomparsa per lasciare spazio a una specie di alimentazione che ricorda l’idea di una grande mangiatoia pubblica. E quindi “All you can eat” è una canzone che affronta temi collettivi che riguardano non l’individualità mia ma questioni in cui siamo coinvolti più o meno tutti e che anche in questa terra hanno la loro urgenza. Conosco tante persone che sanno fare dei loro limiti delle opportunità, anche in questo c’è una risonanza con lo spirito siciliano.
Quale è la tua emozione a 19 anni dalla scoperta della Pasqua di Scicli?
Sono capitato a Scicli nel 2004, era Pasqua, l’amico Jacopo Leone insieme al cuciniere Carmelo Chiaramonte mi portarono a questa festa, all’inizio ho detto “Mah”, ricordo che c’era un sacco di confusione, c’era una specie di Talent, che riproduceva una cosa televisiva ad alto volume, un po’ come tutte le cose deleterie che accompagnano le manifestazioni popolari. E però a un certo punto sono finito dentro la chiesa e ho iniziato a sentire una energia completamente diversa, ho visto queste persone, questi picciotti che iniziavano a sollevare questa statua, al grido di “Gioia, Gioia, Gioia”, e poi ho assistito a questa uscita di vigore della statua del Cristo all’altezza della piazza, la statua andava a una velocità da contravvenzione. Il Risorto di Scicli è un Risorto da contravvenzione! “Il Gioia” agitandosi barcollava, non si capiva bene dove doveva andare, inseguito da questa banda che eseguiva un solo pezzo, una marcia reale, che poi ho citato all’inizio del mio brano “L’Uomo Vivo”. Mi sono detto “ma cos’è?”, mi sembrava un po’ come Hemingway quando trovava quei posti in Spagna dove lasciavano i tori liberi per le strade. Era una manifestazione di una grande forza. Ne sono rimasto molto colpito, poi con un po’ di studio – ho incontrato il regista Mauro Aprile Zanetti che ha scritto un libro, “Gioia jaloffra e filuvespri”- ci ho trovato tante analogie e simbolismi, nel rapporto della carne, della vita e della morte. Al di là dell’episodio folclorico mi è sembrato simbolicamente molto forte chiamare la mia canzone “L’Uomo Vivo”, mi è sembrato un Manifesto per l’affermazione della Vita. Quindi Roy Paci ha orchestrato per banda, e abbiamo registrato con la banda di Scicli all’interno della chiesa di San Bartolomeo e quando è uscito il disco nel 2006 abbiamo anche suonato in pubblico in occasione della festa, con il lancio sulla folla di Roy Paci. Riconosco che fu una cosa abbastanza forte! Ritengo interessante che un brano che nasce da una tradizione folclorica e che ha un po’ la forza dirompente di un pezzo rock, punk, sia partito da Scicli, si porta dietro un po’ di Scicli e allo stesso tempo ha una sua universalità.
Hai qualcuno a cui dire grazie?
Sono molto grato a tutti gli incontri che ho fatto. Vedi, le canzoni non nascono mai da sole e neanche vengono registrate da sole e neanche si concludono in se stesse. La canzone del Risorto è sintomatica in questo, è l’espressione e il risultato di diversi incontri umanissimi in cui c’è una ritualità che è profondamente umana: il timore della morte e la necessità di esorcizzarla con l’affermazione della vita.

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Pubblicato da:
Ombretta Grasso
Tag: vinicio capossela