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SICILIA SECONDO ME

Tuccio Musumeci: «Le nostre città ormai non si riprenderanno più»

«Il vero catanese è arrabbiato con se stesso. Catania è abbandonata ma Palermo è uguale. Della spazzatura non ne possiamo più davvero»

Di Maria Lombardo |

Ottantotto anni lo scorso aprile, vulcanico come l’Etna, Tuccio Musumeci sta portando avanti più progetti contemporaneamente come se di anni ne avesse 50 in meno.  Teatro e televisione. Direttore artistico dal 2001 del Brancati di Catania, il piccolo schermo ha rinverdito la sua popolarità nazionale con il personaggio del padre di Saverio Lamanna, lo scrittore e detective per caso interpretato da Claudio Gioè nella serie “Màkari” dai libri di Gaetano Savatteri. In primavera prossima le riprese della terza serie. L’attore intanto è in tournée estiva con “Tartufo, ovvero l'impostore di Molière", regia di Nicasio Anzelmo dove lo vediamo nel ruolo “inedito” di Pernelle, genitore di Orgone (Teatro della città di Catania, centro di produzione teatrale diretto da Orazio Torrisi).  Abbiamo incontrato Tuccio nel centro della Sicilia, a Grotte dove gli è stato conferito il Premio Martoglio, diciannovesima edizione,  ideato e diretto per il Comune dell’Agrigentino da Aristotele Cuffaro. Con Tuccio c’è un’antica dimestichezza dai tempi in cui Pippo Baudo lo invitava spesso assieme a Pippo Pattavina ai programmi di Antenna Sicilia e passando dalla redazione portava un momento di svago e di sorriso.

Attivissimo quest’estate… «”Tartufo” è ovunque un grande successo e quest’autunno lo riporteremo al Brancati di Catania, dopo aver fatto una settimana all’aperto nella Corte Mariella Lo Giudice. Sono sempre in attività, è vero. Mia moglie mi dice “Ma ancora devi lavorare?”. Tra poco dobbiamo cominciare a girare la terza serie di “Màkari” perciò sono sul chi va là. Saranno quattro puntate. Non mi pesano cinema e serie tv, è più pesante il teatro. Sul set c’è l’aiuto regista e addetta alla produzione Palomar, Barbara Danieli, che io chiamo “la mia badante”:  mi tratta benissimo. Appena finisco di girare la scena, mi fa sedere perché non mi stanchi, si preoccupa che non stia in mezzo alla corrente d’aria. Mi affatica di più la strada da Catania a Trapani. Strada? In Sicilia abbiamo trazzere non strade. Quel viaggio mi avvilisce! Comunque non è che lavoro per i soldi perché oggi quello che guadagni lo paghi di tasse». Ma sapresti immaginarti a casa e alzarti una mattina senza dover lavorare? «No. A casa ci sto pochissimo. Sono stato sempre abituato a stare fuori. Quando sono a casa la sera salgo in terrazza dove ci sono le piante. Non ci va mai nessuno. Abbiamo fatto pure una cucina per fare le pizze ma non ci abbiamo mangiato neanche un panino».  Anche quando sei a casa dunque non ti annoi. «No, anche se televisione ne vedo poca: vedo solo i tg, la politica».   Per te vivere in Sicilia, a Catania, è stata una scelta di vita? «Ho abitato per 27 anni a Roma, al Largo Argentina, e prima ancora a Milano quando ero ospite fisso di “Settevoci” con Pippo Baudo. A Milano conobbi quella che è la mia seconda moglie. Tornai a Catania richiamato dal  Teatro Stabile». Sei percepito, al di là delle tue capacità di attore, come emblema di catanesità, di ironia catanese… «Il vero catanese è finito! Il vero catanese è arrabbiato con se stesso, col Comune, con tutti: per la spazzatura della quale non se ne può più. Ma Palermo è uguale. Catania è una città abbandonata. Le nostre città ormai non si riprenderanno più. In Sicilia abbiamo tanti di quei posti che invece di essere valorizzati, vengono distrutti! Tanto che ci sono persone che vendono le case e se ne vanno a stare nei paesi. Mio figlio Claudio che ha vissuto negli Stati Uniti, qui non ci sa stare». Claudio ha fatto il pilota di aerei, mi sembra… «Sì, ma poi si è diplomato all’Accademia Lee Strasberg. Ora fa l’attore». Hai portato il seme dell’arte nella tua famiglia: un figlio attore, l’altro compositore. Nella tua famiglia d’origine c’erano artisti? «Nessuno. Io ero iscritto in Medicina a Modena dove avevo lo zio materno primario di Anatomia patologica. La sera andavo a vedere Dario Fo, Giustino Durante e Franco Parenti al Teatro Storchi. Sono stati forse loro a sviarmi. D’estate in Sicilia incontrai un giovane, Pippo Baudo, e da lì cominciò tutto. A sua volta anche Pippo doveva diventare un professionista laureato, suo padre lo voleva notaio. I miei mi volevano medico…».

Ripensando all’infinità di personaggi che hai interpretato, ce n’è qualcuno  a cui ti sei legato di più? «Quello che ho portato in tutto il mondo, Pipino il Breve, per il quale sono stato premiato a Broadway davanti a Liv Ullman e Dustin Hoffman. Bellissimo spettacolo fu anche “Vita, miserie e dissolutezze di Micio Tempio, poeta” scritto da Filippo Arriva. Con Filippo che curava l’ufficio stampa del Teatro Stabile, ci trovavamo in Pennsylvania sul pullman e parlando abbiamo concertato questo lavoro. Ho anche inciso un disco con le poesie di Tempio». Fra i film girati quali preferisci ricordare?  «Ho girato una quarantina di film diretto tra gli altri da Lina Wertmuller (“Mimì metallurgico” con Giancarlo Giannini) e Giorgio Capitani (“Teste di cuoio”). Sempre grandi registi. Avevo un agente che mi faceva girare anche due film diversi nella stessa giornata. Giorgio Capitani era persona simpaticissima». Il pubblico ti conosce soprattutto come attore comico ma sei bravissimo anche nei ruoli drammatici, come quello di Salvo Lima nel film di Aurelio Grimaldi “Il delitto Mattarella”…  «Per il comico fare un ruolo drammatico  è più facile di quanto lo sia il contrario. Quando Pippo Fava scrisse “Cronaca di un uomo” mi vollero ma io ebbi paura perché venivo da ruoli martogliani. E invece fu un grande successo. Da allora mi hanno fatto fare molti ruoli grotteschi».

Un attore di prestigio come te può sempre discutere col regista su come affrontare una scena? «Si, certo. Mi danno fiducia. Per “Màkari” quando mi arrivano i copioni, tante volte al regista Michele Soavi dico che sto cambiando qualcosa. E lui mi lascia fare. È stato sempre così». Ora sei per tutti  il papà di Claudio Gioè… «Claudio Gioè è persona simpaticissima. Quando mi telefona mi chiama papà. Ma data la mia età, nella terza serie finirà per chiamarmi nonno! Questi lavori bisogna farli con naturalezza. Di molti attori si nota che recitano. Io ho inventato (non c’era nel copione) che il padre di Saverio non sopporta l’amico del figlio, Peppe Piccionello interpretato da Domenico Centamori. Ogni volta che Saverio lo invita a casa, io dico “Questo in famiglia non lo sopporto. Sempre in pantaloncini, sempre scalzo!” Gli faccio festa solo quando dalla sua campagna mi porta i pomodori». Nella prossima stagione teatrale oltre che riportare “Tartufo” al Brancati tornerai nel tuo maggior successo, “Pipino il breve” il famoso musical di Tony Cucchiara… «Non so come ce la farò, alla mia età, a stare abbassato per fare Pipino (detto “il breve” per la sua bassa statura ndr)”». E poi ci sarà anche “L’Altalena” di Martoglio allo Stabile. Pazzesco, hai da lavorare sodo! «Infatti, vediamo come ce la devo fare!».  Ma Tuccio Musumeci è teatro fatto persona e quindi…COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA