San Cataldo (Caltanissetta) – Stefania Falzone, 35enne di San Cataldo, ha abbandonato senza rimpianti la toga di avvocato civilista e il desiderio di diventare un giorno notaio per un sogno più grande che, sin da bambina, condivideva col fratello Aldo: la campagna. Una campagna che fosse “buen retiro” ma anche fonte di sostentamento: nel 2017, già più che trentenne, diventando imprenditrice agricola di prima generazione, col fratello ha così acquistato un agriturismo tra San Cataldo e Serra di Falco. Agriturismo che non è solo contatto con terra e natura, ma un percorso storico sulle orme gravate di fatica e sfruttamento del pirandelliano Ciaula, alla scoperta delle miniere di zolfo, pagina di sacrifici, sudore e sangue nel grande libro della Sicilia. «Sono laureata in Giurisprudenza – racconta Stefania Falzone -, abilitata alla professione legale e con tanti anni di pratica notarile alle spalle. In realtà, però, la scelta del cambiare vita non è stata improvvisa: avevo sempre avuto la passione per la terra, solo che durante il periodo universitario era rimasta assopita». Un amore per la terra ereditato «dai nonni che hanno sempre lavorato in campagna, anche se poi c’è stato lo stacco generazionale con i miei genitori». Una passione condivisa col fratello Aldo che, abbandonando anche lui la professione di geometra e di agente di commercio nell’edilizia, per due anni è andato a lavorare in un’azienda agricola a San Cataldo «per capire come funzionava il settore agricolo. Sin dalla fine del percorso universitario sia io che lui volevamo infatti trovare qualcosa che ci consentisse di realizzare i nostri progetti, una realtà del nostro territorio che potesse coniugarsi con le nostre idee. Una ricerca difficile, fino all’incontro casuale – forse il destino – con questa azienda. Un agriturismo in vendita, in condizioni non ottimali perché i proprietari precedenti erano anziani e non riuscivano più a badare alla proprietà: siamo venuti a vedere di cosa si trattasse e ce ne siamo innamorati».
E così, nel 2017 la svolta: «La Terra delle antiche solfare era ed è tuttora un’azienda agrituristica, ma dal punto di vista agricolo in passato aveva solo un uliveto. Noi all’uliveto – da cui produciamo olio e olive in biologico – stiamo cercando di affiancare la zootecnia. Non siamo però allevatori, abbiamo pochissimi capi utilizzati per lo più per la fattoria didattica o per le esigenze dell’agriturismo». Particolare la scelta degli animali da allevare: quasi tutte specie autoctone a rischio estinzione. «L’ape nera sicula che, pur non essendo comune nell’entroterra siciliano, qui può vivere tranquilla perché siamo immersi in un bosco di eucaliptus e pini; poi la capra girgentana, la rara pecora barbaresca tipica del territorio nisseno, la gallina coronata (il cui gallo ha la doppia cresta, particolarità unica della nostra zona e le cui uova sono utilizzate per preparare i cibi nell’agriturismo) e il suino nero siciliano (anche quello usato per l’agriturismo)». Una scelta non casuale, ma voluta: «Vogliamo ripristinare alcune razze tipiche nostre. Siamo molto legati al nostro territorio».
Niente azienda di famiglia alle spalle ma imprenditrice agricola di prima generazione, dunque. E derivano proprio da questo le maggiori difficoltà incontrate: «La burocrazia da una parte e l’accesso al credito dall’altra. E poi tanto lavoro, sacrifici, rinunce, che vengono comunque immediatamente compensate dalle soddisfazioni che arrivano». E sono «gli ospiti» la maggiore soddisfazione di questa coraggiosa imprenditrice, «persone che apprezzano l’azienda, con i suoi 8 km di strade percorribili all’interno del bosco e il percorso minerario». La particolarità di questo agriturismo è infatti quella di ospitare ben due miniere di zolfo: «La miniera di Apaforte, che è un sito del ’700 profondo 240 metri, ed è la classica discenderia con un’inclinazione di 45 gradi del pirandelliano “Ciaula scopre la luna”; l’altra è la miniera di Stincone, che è un sito a pozzo con gli argani esterni». Le due miniere sono visitabili nella parte esterna fuori terra. Un valore aggiunto per l’azienda, considerando che «per tutto l’’800 il territorio nisseno ha vissuto sullo zolfo. Ovviamente è storia, da non dimenticare, legata alla condizione terribile dei carusi e anche a tante tragedie. Per un periodo, purtroppo, è stato tutto cancellato, ma adesso c’è un lavoro di ricostruzione storica con questi musei a cielo aperto. Io dico sempre che, soprattutto noi del Nisseno, in famiglia abbiamo tutti un familiare che ha lavorato in miniera e che nelle nostre vene scorre sangue e “sùlfaru”». Agriturismo rigorosamente a conduzione familiare: vi lavorano sorella, fratello e madre che si occupano di tutto. E nei progetti a breve termine c’è la realizzazione «delle camere per il pernottamento in un caseggiato nel bosco». Ma non solo: «Stiamo cercando di creare nel nostro territorio dei percorsi. Ogni azienda – e noi ne facciamo parte con altre realtà locali – mette a disposizione percorsi che possono essere sensoriali, gastronomici, naturali per fare conoscere la propria azienda. Il nostro è principalmente il percorso minerario legato a ciò che i minatori mangiavano. Un cibo molto povero, quindi la degustazione di alcuni alimenti tipici del minatore legati molto spesso alla stagionalità: dal cappero (erba spontanea che cresce nella nostra azienda) al pomodoro secco (che compriamo fresco da altre aziende vicine e poi lavoriamo noi) fino al formaggio e al pane cunzato. Legare dunque il percorso minerario all’interno della nostra azienda con la degustazione di alcuni piatti tipici della vita mineraria».
Oggi, così, oltre all’incontro con la natura e un pezzo di storia siciliana, per gli ospiti di questa tenuta di 32 ettari c’è il cibo (cucinato da Stefania Falzone), che può essere degustato in due sale da 30 e 120 posti, ma anche un’area attrezzata con barbecue e tavolini e il parco avventura con i percorsi acrobatici tra gli alberi nel bosco privato. Uno stacco notevole, quello dalle aule di tribunale alla natura: «Certo, ma mi ha reso felice. Le aule di tribunale non sono bellissime, qui è tutto meraviglioso». Ma cosa è per questa avvocata pentita la terra? «Mi viene da ridere perché dico sempre che la terra è bassa, ma la terra è natura, a noi ha dato soddisfazioni, per noi è passione. Non è facile per tutti comprenderlo e molti, di fronte alla mia scelta di abbandonare la professione forense, mi hanno criticata e presa per pazza. Però quando io sono in agriturismo mi rilasso, per me è ossigeno. Devo anche dire che in tutto ciò gioca anche un fattore importantissimo: oltre a collaborare con altre aziende, per noi fondamentale è stato l’incontro con la Coldiretti, tramite la quale abbiamo potuto conoscere e confrontarci con realtà simili alla nostra e stringere rapporti personali importantissimi». Un settore fondamentale per la Sicilia che andrebbe sostenuto, quello agricolo: «Sicuramente bisognerebbe fare conoscere queste realtà bellissime. È un mondo che spesso i giovani oggi non conoscono. Occorre poi dare ai ragazzi più fiducia».
Nessun rimpianto, ovviamente, di fronte a «una scelta molto ponderata, pensata, voluta. Anzi, sono convinta di avere fatto la scelta migliore. Nonostante i sacrifici e le rinunce siano tantissime, ne vale la pena e io mi sento soddisfatta, realizzata». Fermo restando che gli studi in Giurisprudenza sono utili nella gestione della parte burocratica dell’azienda: «Sì, in qualche modo tutti gli aspetti legali e burocratici riesco a gestirli io». E, forte della sua esperienza, Stefania Falzone non può che consigliare ai giovani «di seguire le proprie passioni. Alle volte penso che forse sono stata incosciente, ma poi passa subito. È la passione che muove tutto, qualunque lavoro si faccia. Quello che mi sentirei di consigliare è seguire le proprie passioni: gli ostacoli ci sono e ci saranno sempre, ma se si hanno progetti e sogni si possono e si riescono a realizzare». L’importante è avere «tanta pazienza, tenacia, perseveranza, perché i risultati non arrivano immediatamente. La passione è comunque la cosa che fa superare qualsiasi ostacolo. Se manca quella, non si va da nessuna parte: se si punta solo all’aspetto economico è meglio lasciare perdere, perché i sacrifici sono tanti e le soddisfazioni arrivano sì, ma non subitissimo».