Tutta colpa del nonno di origine siciliana, che di nome faceva Benito Caldarella. Quest’ultimo era emigrato in Sudamerica, in cerca di fortuna alla fine dell’Ottocento diventando il fotografo ufficiale del presidente dell’Argentina, Alvear. Cinquant’anni dopo, questo fotografo, accompagnato dal giovane nipote Silvio Benedicto Benedetto, parte in nave, con in tasca il biglietto di andata e ritorno valido un mese: il tempo di visitare Avola paese natio e rivedere la sua amata Sicilia. «Era il 1961 – ricorda il Maestro Benedetto, 86 anni a breve, artista e scultore internazionale, nato a Buenos Aires ma dal cuore siciliano, considerato l’ultimo dei muralisti ancora in attività – mio nonno ritornò in Argentina mentre io decisi di rimanere a vivere nella terra dei miei avi». Così comincia l’avventura in terra siciliana di un promettente artista che si era già messo in mostra nei Paesi del Sudamerica per le sue opere murarie, rappresentazioni pittoriche di scene social popolari, eseguite su muri, facciate di edifici e comunque in posti all’aperto. «La Sicilia non solo mi ha ispirato – dice l’artista – ma per me rappresenta tutto il mio mondo: un’Isola in cui si avverte il forte contrasto tra la pace del paesaggio e l’esplosione violenta del vulcano».
Benedetto, che ha sempre operato artisticamente tra l’Italia, la Francia e l’America del Sud, da molto tempo ha scelto di vivere a Campobello di Licata. Qui ha dipinto i muri delle scuole con le facce dei bambini del paese, il frontespizio dell’edificio comunale con scene di pietà contadina e in genere il lavoro agricolo tra passato e presente: tra murales, sculture, fontane e pavimentazioni nonchè grandiose opere su pietra, l’artista ha saputo trasformare il piccolo paese in un centro d’arte. Ma ha anche trasferito i suoi colori accesi e mediterranei, ispirati alla Sicilia un po’ ovunque, dalle Cinque Terre in provincia di La Spezia, dove ha creato piazze artistiche e dipinto una serie di murales, (uno dedicato anche ai pescatori siciliani naufragati nell’Ottocento davanti alle coste liguri) a Roma; dal Piemonte alla Sicilia.
Negli Anni Settanta Benedetto fece parlare di sé per via di quella grande scultura del Cristo in croce alto 33 metri collocata in piazza Politeama a Palermo che il sindaco dell’epoca, Vito Ciancimino, ritenendo l’opera blasfema, la fece rimuovere suscitando un vespaio di polemiche a livello nazionale. «Ebbi immediatamente la solidarietà degli artisti siciliani – ricorda e da allora nacque un sodalizio che si protrasse nel tempo».
Con Guttuso e tanti altri artisti fece parte della corrente dei pittori di piazza del Popolo a Roma, in contrapposizione con quella parte di artisti “ingessati” che non vedeva di buon occhio il nascere della nuova corrente. «Sono gli anni del dibattito sulla Nuova Figurazione – spiega. – Si discuteva tra la Sicilia e Roma, in trattoria, in fiaschetteria, negli studi d’arte; si riscopriva così l’interesse per le nuove correnti culturali. Gli artisti siciliani sono sempre stati un po’ all’avanguardia – continua Benedetto – e all’epoca l’arte si apriva verso il mondo e si sperimentava. Oggi la Sicilia, dal punto di vista artistico, la trovo chiusa in se stessa, “extramuros” come si dice in Sudamerica ossia non va oltre il muro, nonostante vi siano tanti giovani e validi artisti, questa terra sembra voglia chiuderli e impedire loro di uscire per ampliare le proprie esperienze. Trovo che anche i musei, le istituzioni, si siano fossilizzate. I musei non devono essere criptici e si devono aprire di più a nuovo per rimanere al passo coi tempi. C’è anche da dire che, se da una parte la Sicilia, le istituzioni non fanno nulla, dall’altra molti artisti validi si chiudono, assumono un certo atteggiamento di presunzione che finisce per allontanarli sempre più dal mondo artistico nazionale».
Alla vigilia degli 86 anni che cosa rimpiange della Sicilia?
«Non ho rimpianti ma qualche rammarico sì – risponde. – Ho dedicato oltre dieci anni di lavoro ad un progetto grandioso, il parco della Divina Commedia, unico nel suo genere: un parco urbano ricavato da una discarica alla periferia di Campobello di Licata con oltre cento grandi massi dipinti raffiguranti scene della Divina Commedia. Non penso vi sia in Sicilia un’opera d’arte di così grandi proporzioni. Avevo condiviso il progetto con un sindaco illuminato, poi i tempi sono cambiati. L’opera artistica è completa ma manca la volontà della pubblica amministrazione di renderla fruibile in maniera definitiva e intanto le pietre dipinte stanno per essere coperte dalle erbacce e i vandali hanno danneggiato alcuni massi».
Per salvare il suo parco della Divina Commedia, Silvio Benedetto aveva lanciato un appello al quale hanno aderito molti artisti, siciliani e non, da Dacia Maraini a Giuseppe Tornatore ma col tempo tutto è finito nel dimenticatoio. L’amministrazione comunale ha presentato un progetto di restauro del parco nel contesto delle iniziative di “Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025” sperando nell’arrivo di qualche finanziamento.
«Se c’è qualcosa che mi dispiace – conclude Benedetto – è che, in generale, la Sicilia nel suo insieme, straordinariamente ricca di arte, ponga troppa poca attenzione ai suoi beni artistici nonostante sia una delle regioni più ricche di questi “tesori”!».